Oggi l’indagine filosofica non può prescindere dalle tecnologie digitali che influenzano e formattano la nostra comprensione del mondo e la nostra relazione con esso. È in corso una rivoluzione, ma il discorso filosofico potrebbe non prendervi parte a meno di riavviare il sistema, proprio come si fa con un computer.
IN COPERTINA: Riello Antonio, Bomba XA1 US standard 1B (2003) -Asta Pananti del 22 febbraio
Questo testo è un adattamento da “Pensare l’infosfera” di Luciano Floridi. Ringraziamo Raffaello Cortina Editore per la gentile concessione.
di Luciano Floridi
La storia della filosofia assomiglia un po’ a un’onda sinusoidale (o a una montagna russa, se si preferisce). Va su e poi giù, e poi di nuovo su e giù. I momenti di picco, la cresta dell’onda, sono i periodi innovativi, in cui abbiamo a che fare con i problemi filosofici. Si tratta di quei periodi in cui la filosofia è impegnata ad affrontare problemi aperti e fondamentali per il nostro tempo. Quando ha successo, la filosofia finisce per innamorarsi della propria immagine, che è indubbiamente bella e attraente per ogni mente speculativa. I momenti di basso, il ventre dell’onda, sono i periodi scolastici, quando abbiamo a che fare con i problemi dei filosofi. In questo libro, ho cercato di mostrare che la filosofia ha la grande opportunità di rinnovarsi e di ascendere, ancora una volta, a una nuova cresta. La filosofia accademica è, oggi, decisamente troppo narcisistica. Sarebbe molto salutare spingerla a osservare il mondo, anziché il proprio ombelico. Il mondo stesso ha fortemente bisogno di conoscenza filosofica e di disegnare nuove idee. La filosofia è necessaria per creare le nostre società dell’informazione, per dare forma ai nuovi ambienti digitali in cui milioni di persone trascorrono sempre più tempo e, in ultima istanza, per ripensare ciò che mi piace definire progetto umano. Di che genere di filosofia parliamo? Mi pare debba essere una filosofia impegnata nelle profonde trasformazioni del mondo, come quelle originate dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). Non vi è infatti aspetto della vita umana che non sia toccato dalle ICT: formazione, lavoro, conflitti, relazioni e interazioni sociali intrattenimento, governance, politica, arte, letteratura, mass media, diritto, salute, affari, industria, comunicazione, scienza e via dicendo. È difficile immaginare qualcosa che non sia stato trasformato o ridefinito dalla rivoluzione dell’informazione. Ciò significa che i vecchi problemi filosofici sono stati aggiornati: basti pensare alle questioni che concernono l’identità personale, la memoria, la natura della conoscenza, i fondamenti della scienza, i diritti fondamentali, e molto altro ancora. Allo stesso tempo, si profilano nuovi problemi filosofici. Qual è la natura dell’informazione? Che cosa ne è del potere in una società dell’informazione? Come possiamo riconciliare la libertà umana con la capacità di previsione dei sistemi di intelligenza artificiale? Questi sono solo alcuni esempi tra i molti possibili.
Per rispondere filosoficamente a tali domande occorre, preliminarmente, ripensare la pratica e la metodologia della filosofia. In tal senso, la filosofia dell’informazione offre un buon esempio e metro di misura. Ovviamente, la filosofia dell’informazione non è una filosofia del prossimo gadget o della prossima APP. Deve occuparsi da vicino delle profonde trasformazioni ingenerate dalle ICT nel modo in cui comprendiamo il mondo, quindi la nostra epistemologia è metafisica, e conferiamo a esso un significato, quindi la nostra semantica. Ma ciò vale anche per il modo in cui comprendiamo noi stessi, per ciò che pensiamo di poter essere o diventare, quindi le nostre teorie relative a formazione, identità e antropologia filosofica; per il modo in cui interagiamo, gestiamo e formiamo le nostre relazioni collaborative e conflittuali, e tentiamo di costruire la società a cui aspiriamo: tutto ciò incide, infine, sul nostro pensiero socioeconomico, politico e giuridico. Le ICT e l’infosfera, che tali tecnologie contribuiscono a creare, producono i nuovi ambienti in cui viviamo, pensiamo e interagiamo. Di sicuro, questo è quanto la filosofia dovrebbe cercare di comprendere e aiutarci a formare in modo corretto. Per questo, in ultima analisi, si tratta di una questione etica o, per dirla nei termini che preferisco, di una questione di ambientalismo etico digitale. È venuto il momento di tornare sulla cresta dell’onda. Per farlo, occorre adottare, come ho argomentato nel corso del libro, una prospettiva che superi la divisione tra analitici e continentali, e riacquisti il giusto equilibrio tra controllo e potere. Vale la pena di spendere qualche parola su questo punto.
Da un lato, la filosofia analitica, generalmente intesa, eccelle nel controllare il discorso filosofico. Un vocabolario preciso, l’uso della logica, distinzioni formali, informazioni scientifiche, esperimenti empirici o mentali, formule matematiche, dati statistici, argomenti cogenti e coerenti, un modo graduale e inferenziale di presentare i problemi e dibattere le soluzioni: queste sono tutte modalità con cui la filosofia analitica è in grado di esercitare un elevato livello di controllo su un tema filosofico. Il “ma” è rappresentato dal rischio che così tanto controllo tecnico possa essere esercitato su qualcosa di impalpabile, esile e irrilevante, ciò che ho definito in precedenza “i problemi dei filosofi”. Come ha osservato una volta John Locke, i logici continuano ad appuntire le loro penne (quelle d’oca, ai tempi di Locke) ma non scrivono mai. Potrebbe perfino andare peggio, se il livello di ciò che può essere controllato finisce per determinare l’ambito di ciò che vale la pena di investigare filosoficamente.

Dall’altro lato, la filosofia continentale, compresa allo stesso modo in senso ampio, eccelle nell’arricchire il discorso filosofico con riflessioni potenti. Un vocabolario suggestivo, l’uso della retorica, riferimenti dotti, letteratura, arte, poesia, analisi sociopolitiche, interpretazioni e fatti storici, uno stile più narrativo, approcci esistenziali e religiosi ai problemi: queste sono tutte modalità con cui la filosofia continentale aggiunge profondi e potenti contenuti a un tema filosofico. In questo caso, il “ma” è rappresentato dal rischio che un contenuto così ricco e potente possa fuoriuscire dagli argini e risultare vago, confuso, incoerente e, talora, del tutto erroneo. Le cose possono andare peggio anche con la filosofia continentale, se la potenza del contenuto finisce per promuovere forme di irrazionalità e di insofferenza nei confronti della logica, visioni antiscientifiche, relativismo, oscurantismo e una filosofia oracolare.
Come ci rammenta un celebre slogan della Pirelli, “La potenza non è nulla senza controllo”, e ciò vale anche per il controllo privo di potenza. La migliore filosofia (quella che incontriamo sulla cresta dell’onda sinusoidale) ha sempre unito un elevato livello di controllo concettuale a idee molto potenti. Ciò è quanto una prospettiva filosofica, alternativa alla divisione tra analitici e continentali, deve saper riacquistare. Certamente, e ciò di cui abbiamo, oggi, bisogno. In tal senso, la filosofia dell’informazione, delineata in questi anni in più stadi, è stata un terreno privilegiato di analisi per misurare l’esigenza di ripensare la pratica e la metodologia della filosofia, se si intende dotare la riflessione di idee al contempo potenti e controllate, in grado di dare forma e significato al progetto umano odierno. Ciò ci avvia a una considerazione conclusiva.
Abbiamo bisogno di approcciare la filosofia dalla prospettiva del design. La filosofia ha a che fare con problemi aperti, vale a dire problemi che sono delimitati da fatti e numeri ma che non sono risolti né dagli uni né dagli altri. Come abbiamo precisato, i problemi aperti sono tali per cui due persone possono essere informate, razionali e non testarde, e tuttavia ancora in ragionevole disaccordo circa la loro possibile soluzione.
-->Facciamo un passo avanti quando siamo in grado di disegnare (non inventare, né scoprire) modi in cui i problemi aperti possono essere risolti in maniera soddisfacente. Tuttavia, optare per un approccio metafisico significa dimenticare la lezione kantiana a favore della possibilità, invero illusoria, di poter parlare della realtà come tale, senza accettare un qualche livello di astrazione, vale a dire un livello al quale le domande possono ricevere risposte rilevanti. Lo ripeto: è come se due persone fossero in disaccordo sul valore di un’automobile usata, senza essere disposti ad accettare l’idea che tale valore debba essere formulato all’interno di un quadro di considerazioni condivise (relative al valore finanziario, storico, emotivo, di gestione e via dicendo). Le domande filosofiche (non mi stancherò di ribadirlo), proprio perché sono filosofiche, sono intrinsecamente aperte al disaccordo, e quindi suscettibili di ricevere più di una risposta. Persino in matematica siamo abituati a equazioni che hanno più di una soluzione, infinite soluzioni, nessuna soluzione o soluzioni che possono essere solo approssimate. I problemi filosofici non sono differenti. Se vogliamo trovarne la soluzione, dobbiamo abbandonare qualsiasi metafisica assolutistica, a favore di un approccio ragionevole, volto a chiarire il livello di astrazione al quale la domanda sollevata può ricevere effettivamente risposta, nel caso convenire sulla presenza di ulteriori limiti e, in ultima istanza, accettare che vi possano essere plurime soluzioni, talune preferibili ad altre, a seconda dello scopo per cui un livello di astrazione è stato privilegiato. Molti dei problemi dei filosofi non sono affatto chiari su questo punto, con il risultato di dare luogo a infinite diatribe, che si traducono in posizioni di rendita e monopoli accademici. L’emergere di società dell’informazione e correlato a un cambiamento rilevante avvenuto in seno alla filosofia, entro cui è emersa una filosofia dell’informazione, in modo non dissimile, per esempio, da quello in cui nell’Illuminismo erano associati eventi storici e idee filosofiche. Tale macroscopico cambiamento ha generato i tentativi di spiegare ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi. Abbiamo il sentore di una trasformazione profonda e diffusa. Idee alla moda, come quelle di “singolarità”, “post-umanesimo” o “cybercultura”, sono nel peggiore dei casi un palliativo filosofico, nel migliore l’indice di preoccupazioni crescenti: siamo confusi, in cerca di nuove certezze, bisognosi di significativi quadri concettuali, e per questo facciamo ricorso alla pratica inveterata di raccontare storie, alcune minacciose, altre divertenti. Ciò di cui abbiamo bisogno è sviluppare una filosofia ricca, robusta, controllata, all’altezza dei nostri tempi. Questo compito non può essere affidato a curiose speculazioni ma neppure ai cosiddetti scienziati o esperti del settore IT. Questi ultimi infatti non hanno, di regola, a che fare con problemi aperti (nel senso definito in questo libro) e con il design delle idee necessarie a fornire loro risposta, con l’obiettivo ultimo di dare significato e forma al mondo. Quando vi sono coinvolti, si limitano a fare una comparsa nel dibattito filosofico, spesso in modo ingenuo. Abbiamo bisogno di esperti nella capacita di risolvere problemi che hanno molteplici soluzioni mediante il design concettuale: per dirla in una parola, abbiamo bisogno di filosofi.
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