“Taxi Teheran”
di Jafar Panahi
Sceneggiatura di: Jafar Panahi
Con: Jafar Panahi, Hana Saeidi
Prodotto da: Jafar Panahi
Non ho nessuna voglia di scrivere.
Non ho nessuna voglia di leggere.
Non ho nessuna voglia di vedere un film.
Non ho voglia di fare niente.
Sono ormai giorni.
Ho il raffreddore.
Senza la febbre.
Sono malato e quindi devo stare a letto.
Prendetevi cura di me.
Portatemi dei succhi.
Sudore freddo e chimico,
è l’Aspirina e il suo sapore inconfondibile.
Ho anche mal di stomaco,
non di pancia,
di stomaco.
La mattina ormai inizia a fare freddo,
l’aria è fresca e con questo raffreddore mi ritrovo a bere il mio caffè a finestre chiuse,
da solo con i miei bacilli.
È iniziata la mostra del cinema di Venezia.
Devo correre a Venezia.
Devo parlare di Venezia.

Devo parlare dei divi di Venezia,
di Johnny Deep che è ingrassato,
del film di Bellocchio (“Sangue del mio sangue”),
di quello di Guadagnino (“A Bigger Splash”) che è un remake infatti si chiama uguale all’originale che lui,
Guadagnino,
dice di non avere visto,
perché,
dice ancora lui,
l’unica volta che ci ha provato aveva il lettore blu ray rotto.
Bugiardo.
Non ci credo.
Quello di Amos Gitai sulla vita di Rabin (“Rabin, the last day”),
quello di Egoyan (”Remember”) che google dice essere un thriller sul ricordo e sul trauma,
quello del compianto Claudio Caligari (“Non essere cattivo”) che andrò a vedere prossimamente.
Poi che film ci sono a Venezia?
Non lo so.
Ce ne sarà uno di sicuro con Scamarcio che infatti c’è (“La prima luce” di Vincenzo Marra),
qualche film orientale che infatti c’è pure lui
e poi non lo so,
chi se ne frega,
speriamo che affondi tutta la mostra del cinema di Venezia sotto il peso di quel ciccione di Johnny Depp mentre salta ubriaco da una gondola a un party.
Devo andare a Venezia.
Devo correre a Venezia.
Devo andare sul tappeto rosso a vedere le passerelle.
Devo scrivere più veloce.
Devo prendere contatti che potrebbero risultare poi utili.
Preziosi.
Calma.
Calma.
“chi se ne frega, speriamo che affondi tutta la mostra del cinema di Venezia sotto il peso di quel ciccione di Johnny Depp mentre salta ubriaco da una gondola a un party.”
Sono anche malato.
Sudo Aspirina.
Vai a farti fottere Venezia.
Andate a quel paese parrucconi.
Ma a Venezia c’è la mostra del cinema o il carnevale?
Tutti e due.
Io me ne resto nel mio bagno,
odio il carnevale e anche i festival di cinema.

Se riesco a uscire dal mio bagno oggi vado al cinema,
lo prometto.
L’ultima volta che sono stato al cinema era giugno e pensavo che quest’estate si sarebbe portata via tanti pensieri e tanti problemi.
Mi ripetevo di lasciar perdere che tutto si sarebbe messo a posto da solo.
Come non detto.
Le cose non si risolvono mai da sole.
Perché dovrebbero farlo?
Perché sarebbe comodo.

Vado a vedere “Taxi Teheran” di Jafar Panahi al cinema Fiorella che più che un cinema detto così pare una parrucchiera di Rimini in un film di Fellini,
ma è un cinema e anche una pizzeria dove per altro la pizza non è per niente male:
si tratta di una pizza bassa,
leggera come dicono le donne,
fine,
una pizza di mare come dico io.
“Le cose non si risolvono mai da sole. Perché dovrebbero farlo? Perché sarebbe comodo.”
Molto meglio chiamare una pizzeria Fiorella piuttosto che un cinema.
Comunque è un nome simpatico a differenza di tutti quegli “Excelsior”, “Capitol”, “Astra”, “Odeon”e compagnia cantando.
Vado in bicicletta anche se la sala non è per niente vicina,
almeno penso,
perdo tempo e ossigeno il cervello.
Ho una bicicletta da donna,
verde,
col faro,
di quelle olandesi.
Fa schifo ma non tanto perché è brutta
ma piuttosto perché quando la guidi sembra sempre di scalare lo Zoncolan,
in due parole è faticosa.
Vorrei tanto avere una mountain bike
o una di quelle bici da uomo d’altri tempi verde bottiglia con i “freni a bacchetta”,
il sellino e le manopole in pelle e alcuni inserti in metallo cromato.
Faccio fatica a pedalare,
sarà perché ho sempre le ruote sgonfie,
sarà perché sono stanco,
sarà perché sono malato,
sarà perché questa bicicletta fa schifo,
sarà per tutti questi motivi messi insieme.
Forse sto pedalando in una di quelle strade che sembrano in pianura ma in realtà sono in salita,
quelle strade bastarde che solo facendole al contrario ti accorgi che sono un po’ in discesa e infatti prima erano in salita.
Tipo Lungarno della Zecca Vecchia?
Esatto!
Bravo!
Questa è una bella metafora della vita.
La vita sembra in piano,
la vita sembra l’Olanda,
poi mentre pedali scopri che in realtà non è per niente l’Olanda ma nemmeno Lungarno della Zecca Vecchia ma piuttosto lo Zoncolan.
Sì, la vita sembra l’Olanda ma in realtà è un Giro d’Italia sempre con la stessa tappa che si ripete:
l’ascesa dello Zoncolan.
Sudo Aspirina.
Ho bisogno di una doccia.
E di un medico.
La bicicletta è comoda a Marzo,
a Aprile e nei primi giorni di maggio,
poi da metà settembre fino ai primi di ottobre,
per la restante parte dell’anno è una fregatura
perché o fa troppo caldo o fa troppo freddo,
poi magari piove,
tira vento,
c’è il sole malato,
grandina,
nevica anche.
Io sono un tifoso dei piedi,
sono per camminare.
E’ il mezzo di locomozione meno costoso,
più sicuro
e che ti permette di pensare,
osservare e rilassarti.
Ossigeno al cervello uguale idee.

Me lo ha insegnato Werner Herzog che a piedi si è girato mezzo mondo,
ha fatto mille film e dice che l’unica scuola di cinema che valga la pena frequentare nella vita e quella del camminare.
Ha ragione.
Grand’uomo.
Un eroe romantico.
Si potrebbe definirlo “uno che pensa con i piedi”
ma non lo si può fare perché nella nostra società al contrario “fare le cose con i piedi” significa farle male
e invece secondo me dovremmo essere molto più podalici e meno seduti e maneschi.

Perché non riesco a scrivere di questo film?
Non lo so.
Anzi sì lo so.
Non riesco a scrivere di questo film perché non mi va di parlare dell’Iran,
non mi va di parlare di politica,
non mi va di dire cose politically correct,
non intendo fare della retorica spicciola
e poi diciamocelo non sono molto informato sull’Iran di oggi
e non ho nessuna voglia di fare brutte figure.
Semplifichiamo.
L’Iran è una repubblica islamica,
il che vuol dire a occhio e croce che la legislazione è basata in larga parte sulla Sharia,
la legge islamica.
A comandare ci pensa “la guida suprema” ruolo oggi rivestito dallo ayatollah Ali Khamenei (dunque un religioso) ai tempi intimo consigliere dell’altro ayatollah che si chiama quasi come lui ma non è lui e cioè Ruhollah Khomeyni,
quello per capirsi che nel 1979 fu la guida spirituale della rivoluzione islamica che cacciò gli Scia per istaurare quel regime fondamentalista e teocratico che dura tutt’oggi.
Ahmadinejad,
l’ex presidente della Repubblica,
quello ossessionato del nucleare e dalla voglia di cancellare Israele dalla cartina geografica,
è appunto ex presidente
infatti non c’è più e al suo posto hanno messo tale Sig. Hassan Rouhani
che rispetto ad Ahmadinejad viene considerato un po’ più di centro,
più riformista ma con la stessa passione del suo predecessore per le bombe nucleari.
Poi?

Poi in Iran non si bevono alcolici,
le donne indossano lo chador e c’è la censura.
Il film di Panahi parla di Iran,
parla delle condizioni di vita in Iran,
parla del cinema in Iran e quindi parla anche di censura.
Panahi stesso dopo essere stato incarcerato,
è stato condannato a non fare film,
non espatriare,
non rilasciare interviste per vent’anni a causa delle sue “idee progressiste” e a causa dei suoi film che hanno “la colpa” di raccontare al mondo l’Iran di oggi.

Semplifichiamo,
veniamo al film:
“Taxi Theran” è un film sbagliato.
Ed è pure noioso.
Durante gli ottantadue minuti del film ho guardato più volte l’orologio sperando che il tempo passasse più in fretta,
brutto segno.
Pausa.
Chiedo scusa.
Non ce la faccio.
Non ci riesco.
Non voglio scrivere male ancora una volta di un film,
visto che sarebbe il quarto che stronco nelle ultime cinque recensioni.
Non voglio scrivere male di questo film che prima di essere un film giusto o sbagliato,
bello o brutto,
è in primo luogo un atto eroico.
Peccato perché l’idea che sta alla base di questo film è un’idea valida,
di quelle che mi piacciono da impazzire.
Ma?
Ma il film non è buono.
Mi spiego meglio.

Semplifico ancora:
l’idea era un ottimo spunto per un grande documentario:
voglio raccontare lo stato in cui versa l’Iran e lo devo fare di nascosto perché mi hanno vietato di fare film per vent’anni,
come faccio?
Bene,
prendo un taxi,
mi fingo tassista,
ci infilo una telecamera dentro e riprendo i passeggeri che mi raccontano scampoli delle loro vite.
Ecco fatto,
risultato di sicuro successo.
Eccoti l’Iran di oggi,
che con grazia emerge e viene evocato da quello che semplicemente la macchina da presa coglie,
registra,
da ciò che semplicemente accade all’interno di quel taxi,
che è un taxi ma poteva essere un bagno,
una cucina,
una cabina telefonica,
che manco a Teheran esistono più,
insomma un contenitore di storie,
all’interno del quale il mondo,
la vita,
il cinema,
che poi sono uno parte dell’altra,
appaiono e si manifestano.
L’idea dicevo,
sarebbe stata valida se fosse stato un documentario,
ma essendo un film di finzione il risultato è un’opera retorica dove tutto si dice e niente si evoca.
E’ un film didascalico.
E’ un film dove tutto è detto.
Semplifico ancora di più:
“Taxi Teheran” è l’ultimo film di Jafar Panahi e il terzo girato clandestinamente.
Il regista non può girare film per vent’anni ma vuole fare i film
quindi che fa?
Gira i film di nascosto.
E questo è il terzo e ha anche vinto l’orso d’oro a Berlino.
Gli altri due sono:
“Thi is not a film” (2011) e “Closed Curtain” (2013) con il quale sempre a Berlino vince l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura.
Quindi tornando al film,
l’idea sembra azzeccata ma il film non è un documentario,
è un film di finzione,
un film con gli attori e la sceneggiatura,
la realtà non è osservata nel suo scorrere naturale
ma bensì è messa in scena.
E il problema non è tanto la messa in scena che ripeto parte da un’ottima anche se non originale idea di fondo,
il problema sta nella scrittura stessa del film,
nella sceneggiatura che è debole perché non cinematografica.
Il testo soffre di un difetto su tutti:
è detto e mai evocato,
mai sottinteso,
niente alleggia,
si respira e si intuisce.
Semplifichiamo ancora di più:
il film è pieno di parole e di proclami ma privo di vita.
Quindi il film è retorico e un po’ noioso
e questo mi dispiace dirlo,
mi dispiace veramente.
Perché?
Perché un uomo che ha il coraggio di fare tre film di nascosto è prima di tutto un eroe.
Un uomo che è stato condannato,
messo in carcere e poi ancora limitato nella sua espressione
è un uomo che merita la stima e l’onore.
Come si fa poi a fare un film di nascosto?
Non ne ho idea.
Ciò non toglie che il film c’è,
il film esiste e resiste ma secondo me non funziona.
L’importanza di un film non risiede mai nel suo essere bello o brutto,
nel suo funzionare o meno,
che sono poi tutti aspetti che rientrano nella sfera del giudizio soggettivo. L’importanza di un film risiede nella sua essenza,
nell’esserci e nell’essere dunque per gli altri,
nell’essere appunto film,
essere cinema,
mostrare e raccontare.
Ci piacciono alcune cose perché non ce ne piacciono altre e viceversa, dunque l’importanza di qualcosa che ci piace e di qualcosa che non ci piace è assolutamente identica. Poi c’è il valore di un’opera ma questo è un altro discorso. Il valore è un qualcosa che va oltre il bello, oltre il brutto, oltre “il mi è piaciuto” e “il non mi è piaciuto”
“Taxi Teheran” c’è ed è un film che a me non è piaciuto,
ciò non toglie che io stesso ritenga importante il suo manifestarsi ai miei occhi e nel mondo.
E’ la sommatoria di quello che ci piace e di quello che non ci piace a creare la nostra esperienza,
la nostra cultura,
la nostra conoscenza del mondo,
nient’altro.
Ci piacciono alcune cose perché non ce ne piacciono altre e viceversa,
dunque l’importanza di qualcosa che ci piace e di qualcosa che non ci piace è assolutamente identica.
Poi c’è il valore di un’opera ma questo è un altro discorso.
Il valore è un qualcosa che va oltre il bello,
oltre il brutto,
oltre “il mi è piaciuto” e “il non mi è piaciuto”,
il valore è un qualcosa che di per se stesso ha a che fare con l’oggettività,
con lo stato di cose vigente,
con il gesto,
con il pensiero dominante,
con la società,
la cultura,
la storia,
la politica.

Detto questo spero che Panahi possa presto tornare libero
e libero di girare i suoi film alla luce del sole,
quello stesso che illumina Teheran e ha illuminato tante grandi pellicole che l’Iran ci ha regalato grazie a Panahi stesso,
al suo maestro Kiarostami,
ad Amir Naderi e a tutta una generazione di grandi registi persiani.
Lasciamo adesso che Panahi scenda dal suo taxi e che quell’auto prosegua il suo cammino da sola,
attraverso l’Iran,
correndo in Turchia,
passando la Grecia,
e toccando l’Italia cavalchi i mari e gli oceani per attraccare in America,
nel buio del buio della notte Newyorchese dove ad aspettarlo sul ponte di Brooklyn possa trovare altre migliaia di taxi pieni di vita e di storie
come quelli di Jarmush e Benigni
e i loro “Taxisti di notte”.
Veniamo alle pagelle:
Due pallette
Due stellette.
E’ un cinque e mezzo per il vecchio Panahi.
Di Lorenzo Bechi
(www.filmsolo.org)