Reinterpretando l’estasi: La mistica selvaggia di Romano Màdera

Romano Màdera, filosofo e psicanalista, condivide la sua visione della mistica moderna, parlando della sua evoluzione e del suo ruolo in una società secolarizzata, nel contesto di un’approfondita intervista condotta da Gianluca Didino.


IN COPERTINA, No.5/No.22, di Mark Rothko

di Gianluca Didino

Di tutti gli stati emotivi che caratterizzano la storia dell’umanità dalla sua comparsa sul pianeta, l’estasi e il rapimento estatico sono forse quelli meno presenti nella contemporaneità: scomparsa l’estasi guerriera di Achille, il rapimento dionisiaco, l’estasi religiosa medievale, l’amore assoluto dei romantici e persino l’estasi chimica della prima e della seconda estate dell’amore, oggi ci troviamo sprofondati mani e piedi nel realismo capitalista dell’ottimizzazione tecnologica. Certo, da qualche anno a questa parte assistiamo a forme più o meno dirette di reincantamento del mondo: la scienza si riscopre ogni anno più strana e misticheggiante, le macchine formano nuove soggettività sempre più indipendenti e il ritorno della psichedelia sta riportando qualche forma di significato all’idea di panorama interiore. Ma molto raramente – con l’eccezione forse di esperienze psichedeliche ad alti dosaggi – questi fenomeni assumono una dimensione pienamente spirituale, appunto estatica o mistica nel senso pieno dei termini.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la psicanalisi ha giocato un ruolo importante nel mettere a regime e controllare quelle che per millenni erano state considerate esperienze di contatto con il divino traducendole in sintomi psicopatologici. Questa riduzione era necessaria per delimitare i confini dell’individuo, e dunque per la nascita stessa di una disciplina che si occupava della mente individuale. Dall’altra parte è diventato evidente ormai da molti decenni come il carattere normativo del pensiero psicanalitico non sia in grado di rendere conto della totalità dell’esperienza interiore umana a meno di essere disposto a sconfinare in campi limitrofi come la filosofia o la mitografia ed entrare nei territori scivolosi dell’archetipico, dell’impersonale e del sovra-individuale. Pochi analisti hanno intrapreso questa strada, e ancora meno l’hanno fatto in Italia: uno di questi è Elvio Fachinelli, che con il suo La mente estatica del 1989 ha scritto uno dei pochissimi libri che hanno deciso di confrontarsi con il tema da una prospettiva per così dire interna (uno dei capitoli del libro riporta, com’è noto, le esperienze di Fachinelli con la psilocibina).

Fachinelli scriveva in un momento in cui l’ondata di spiritualità degli anni Sessanta e Settanta era già scemata e prima del ritorno d’interesse per questi temi generato dal cosiddetto rinascimento psichedelico. Anche per questo, oltre che per le diffidenze di lungo corso di cui dicevo sopra, la sua eredità è andata quasi del tutto perduta. Sul valore di questa eredità, come su molti altri temi affini, si interroga Romano Màdera nel suo ultimo libro, Lo splendore trascurato del mondo, uscito per Bollati Boringhieri alla fine del 2022. Màdera, filosofo e psicanalista analitico nato a Varese nel 1948, studioso di Jung, fondatore della Società di analisi biografica a orientamento filosofico (SABOF) e dell’associazione Philo, ha concepito questo libro durante una serie di cinque puntate del programma di Radio Rai 3 “Uomini e profeti” dedicate al tema di quella che ha chiamato – riprendendo Michel Hulin – “mistica selvaggia”. Il suo libro si chiede quale posto occupi oggi la mistica nel nostro mondo secolarizzato, quali forme di mistica siano possibili e come si raggiunga l’esperienza estatica, oltre che riflettere apertamente sul lascito di Fachinelli nel panorama culturale e psicanalitico contemporaneo.

Gianluca Didino – Se mi guardo intorno vedo pochissima estasi. Viviamo in un’epoca anti-estatica? Perché questo sentimento così importante nella storia dell’uomo sembra essere scomparso?

Romano Màdera – Dipende: innanzitutto bisogna intendersi su quale sia il tipo di “estasi” di cui stiamo parlando. Certo l’estasi non gode di buona stampa perché o è relegata, dal senso comune e dei media, al “religioso” (e allora ovviamente è sempre meno presente – anche se non è mai stata guardata con grande simpatia proprio per il suo carattere irriducibile a formulari, a dottrine teologico-filosofiche, a prescrizioni rituali –  perché il processo di secolarizzazione e di disincantamento del mondo avanza sempre più con il progredire stesso della modernizzazione e con il suo stadio attuale di penetrazione nella formazione dei modi di sentire e immaginare), oppure è esclusa dalla considerazione perché accomunata al consumo di droghe psicotrope, o, ancora, è riportata a qualche classificazione diagnostica come sintomo di una possibile psicopatologia. Altre forme oggi sono più diffuse.

GD – Ad esempio? Si riferisce alla “mistica selvaggia” di cui parla nel suo libro?

RM – Esattamente. Ho parlato di mistica selvaggia per la prima volta durante le cinque puntate del programma “Uomini e Profeti” di Rai Radio Tre che ho tenuto nel 2020 e sono rimasto stupito dalla risposta e dall’interesse del pubblico, a dimostrazione del fatto che il tema è sentito.

GD – Nel suo libro paragona la mistica selvaggia ai fiori di campo che crescono spontanei. È un’immagine molto poetica. Ci spieghi meglio cos’è questa mistica di tutti i giorni.

RM – Con il termine intendo tutte quelle esperienze che non si trovano entro le mura dei luoghi sacri e provengono da persone con formazioni molto diverse tra loro e lontane dai cosiddetti “luoghi deputati del pensiero e dell’informazione”. Pensiamo anche al fatto che per alterne vicende, dovute in parte alla messa fuori legge delle ricerche sull’LSD e sostanze consimili – che da qualche anno invece vengono di nuovo sperimentate nella ricerca clinica e scientifica, per esempio negli USA –, le forme estatiche tipiche del nostro tempo spesso non sono catalogate tra le possibili manifestazioni di stati estatici. Queste esperienze oggi sono spesso mediate da composti chimici, e dico che sono quelle più diffuse nella contemporaneità anche se ovviamente non sono affatto estranee alle culture più diverse, che hanno sempre sperimentato con stati alterati di coscienza dovuti a assunzione di sostanze naturali o favorite da pratiche ascetiche di deautomatizzazione dell’esperienza.

GD – In questo senso la mistica di cui parla è “comune”.

RM – Sì, il sottotitolo del mio libro è appunto “una mistica comune ” perché volevo sottolineare la sua diffusione sia in situazione casuali, sia in situazioni favorite dall’assunzione di sostanze.

GD – Dice “in situazioni casuali”, ma nella mia esperienza personale ogni volta che ho avuto un’esperienza che potrei definire “mistica” la situazione era tutt’altro che casuale: mi trovavo in stati alterati di coscienza, non a causa di droghe ma di forti emozioni, ero molto felice o molto triste. L’esperienza mistica può apparire così all’improvviso, inaspettatamente? Non è necessaria qualche forma di preparazione, conscia o meno?

RM – Si può desiderare di entrare nello stato di “percezione estatica”, consapevolmente o meno, la si può cercare di indurre o con un certo stile di vita o con sostanze, ma l’evento non è programmabile in nessun modo. Ma questo non è una prerogativa solo della “percezione estatica”, a meno che – come fa anche Fachinelli e come credo anche io – non si comprenda in questi stati anche il momento illuminante dell’invenzione (tecnica, scientifica, artistica), l'”eureka!”, “ho trovato!”

GD – Sì, concordo con lei: le due cose mi sembrano molto affini. 

RM – Anche perché nemmeno il momento dell’illuminazione è programmabile: Poincaré, genio della fisica, lavorava la mattina e il pomeriggio girovagava, sui tram o a piedi, per Parigi, e disse che le sue idee migliori gli erano venute nello stato di “mente vagante” (uno stato oggi molto studiato e che non è niente di strano, anzi, è il più consueto della nostra mente), forse perché la spontaneità non “guidata” della mente vagante può creare connessioni fuori dalle aspettative di ciò che già “si sa”.

GD – Per come la vedo io queste illuminazioni della mente associativa sono ciò che ha mandato avanti la storia dell’umanità e continuerà a mandarla avanti, eppure sembra che facciamo di tutto per rendere la vita sempre più prevedibile ed efficiente. In questo senso, nemmeno la psicanalisi, con le eccezioni di Jung, Hillman e altri, si è dimostrata molto interessata a esplorare questo aspetto della mente.

RM – Nelle eccezioni oltre a Jung possiamo citare anche Wilfred Bion, Michael Eigen ed Elvio Fachinelli, di cui parlo nel libro. In generale però direi che sì, la psicoanalisi è troppo segnata dalle sue pretese di “scientificità” e di “efficacia clinica” per pensare con vera libertà ed entusiasmo per il non-riducibile ai suoi presupposti. Spesso gli stati estatici sono guardati o con sospetto di patologia, o con sufficienza che li relega all’infantile o addirittura alla memoria della vita intrauterina. La paura di perdere la propria specificità, di mischiarsi con le altre scienze umane e con la filosofia (e soprattutto con la filosofia come modo di vivere) e con le diverse forme di spiritualità, hanno paralizzato la ricerca psicoanalitica in questo campo. 

GD – Abbiamo bisogno di una nuova psicoanalisi?

RM – Più che di una nuova psicoanalisi ma di una nuova spiritualità.

GD – Questo è un tema che mi interessa molto: come immagina questa spiritualità del futuro? Certamente il bisogno di nuove forme di spiritualità è molto presente oggi in Occidente.

RM – Immagino una spiritualità capace di contenere condivisioni della ricerca di senso di ciascuno, una ricerca alla prova della vita, che si riferisce alle esperienze di vita. Senza preclusioni, aperta agli atei e ai religiosi, purché intenzionati e capaci di accettare un metodo di comunicazione che si astenga dalle controversie (o che sappia gestirle facendo emergere in ciascuna parte in causa anche le ragioni per comprendere le posizioni che si vogliono confutare). Una via che serva anche a chi rimane nella sua ortodossia ma crede che sia importante per migliorare la sua stessa pratica l’ascolto partecipe di altre vie. Con altri compagni di strada stiamo provando a praticare tutto questo e abbiamo fondato una Compagnia di Spiritualità Laica.

GD – Le lancio una provocazione: la mia impressione è che in Occidente quando si parla di misticismo si tende sempre a pensare a uno stato in cui la “pienezza” dell’essere (di Dio, dell’amore…) ci sopraffà portandoci in uno stato di eterna beatitudine: da questo punto di vista capisco perché Freud era sospettoso del “sentimento oceanico” di cui parlava Romain Rolland, che vedeva come un ritorno all’intrauterino. 

RM – Il rischio regressivo c’è sempre ma non riguarda affatto Rolland. Altro che regressione, nel suo caso! Rolland scriveva romanzi e biografie (ha vinto anche un Nobel), testimoniava il suo continuo passare da uno stato all’altro senza perdere, la sua capacità di lavoro, anzi! Era impegnatissimo politicamente, i suoi appelli per la pace nel primo conflitto mondiale, firmati dalle menti più aperte e geniali del tempo, il suo esempio militante, sono la confutazione più certa del sospetto regressivo attribuito al senso oceanico. 

GD – Personalmente rimango più a mio agio con il pensiero buddhista, in cui il vuoto prende il posto del pieno. Quindi per lei non ci troviamo di fronte a una spiritualità simile alla notte di Schelling in cui tutte le vacche sono nere.

RM – Ma no! L’oceano davanti e noi e dentro di noi è l’appello all’infinito che ci abita e che ci sorpassa, che ci fa sentire la comunione con gli altri umani e con il mondo e quindi ci “impegna”.

GD – Prima citava Elvio Fachinelli, il cui lavoro è rimasto una specie di unicum nel pensiero psicanalitico italiano. Che eredità ci ha lasciato la sua esplorazione della mente estatica?

RM – Un’eredità in gran parte non raccolta, anche se noi, e con noi intendo Philo e SABOF, cerchiamo in qualche modo di raccoglierla. La sua eredità è soprattutto di atteggiamento: sperimentazione e libertà oltre i confini asfissianti di ogni appartenenza settaria e di ogni chiusura nel pensiero ricevuto, il nesso tra psiche e società come decisivo per capire la psiche, la cancellazione dei confini tra scuole di provenienza diversa, l’impegno culturale e sociale di ogni seria intellettualità che vive il suo mondo prima ancora della sua professione.

GD – Nello specifico lei immagina una psicanalisi più aperta a ciò che esce dai confini dell’individuo? Una psicanalisi chimicamente assistita? O una pratica quotidiana diversa, un approccio al mondo, magari anche alla politica, dato che per Fachinelli il rapporto tra mente e politica era molto importante?

RM – L’eredità di Fachinelli significa per me anzitutto superare le barriere tra le diverse scuole psicoanalitiche, poi significa non aver paura delle capacità percettive e mentali che possiamo chiamare “estatiche”, infine vuol dire una formazione e una prassi attenta al legame profondo e “istituente” tra l’esperienza storico-culturale, quindi ovviamente sociale, e i vissuti del singolo.

GD – Glielo chiedo anche perché oggi il rischio di ridurre qualsiasi discorso intorno alla spiritualità, al misticismo e all’estasi alle sostanze chimiche e al ritorno della psichedelia è molto forte. A me quest’idea di una pillola che risolve tutti i problemi a volte preoccupa.

RM – La pillola non risolve e non crea i problemi che abbiamo singolarmente e collettivamente, ma, in certi casi, con le dovute precauzioni e un esame di realtà individualizzato, può aiutare a “manifestare” ciò che la barriera dell’usuale-rassicurante ci impedisce di sentire, vedere, pensare. Certo, ci vorrebbe molta disciplina e lavoro di conoscenza di sé prima di sperimentare e dopo aver sperimentato. Insomma non può essere il sostituto del cammino spirituale, ma siamo figli della nostra epoca, del mondo che inventa ogni tipo di sostanza e di mezzo per potenziare le capacità di lavoro e di consumo. Quindi, per me, nessuna condanna e nessun affidamento acritico: la sostanza in certi casi può essere un mezzo di ricerca, ma per esserlo deve essere accompagnata da una dieta spirituale di esercizi quotidiani di cui fanno parte anche l’analisi e l’autoanalisi biografica (che è anche storica e riflessiva dei “miti” che incorpora, è “mitobiografica”).

GD – A un certo punto lei cita una delle mie poesie preferite di Blake: “vedere un mondo in un granello di sabbia / un cielo in un fiore selvatico”. Blake potrebbe essere un modello della mistica quotidiana di cui parla?

RM – Quella poesia di Blake è la preferita di Pierre Hadot, il grande riscopritore della filosofia antica come modo di vivere. E la via che supera la ristrettezza del nostro io, la finalità degli esercizi spirituali, è proprio quella di rendersi conto che noi siamo fatti dal mondo, dal cosmo e dalla vita con gli altri, dalla storia e dalla cultura.

GD – Anche questo è un tema che mi interessa molto: in che modo la filosofia può insegnarci a vivere nel presente?

RM – La filosofia può essere un mezzo per vivere consapevolmente e responsabilmente la nostra realtà, abitando il presente. Gli esercizi filosofico-spirituali servono a questo: ne ho parlato ad esempio ne La carta del senso, dove sono elencati e spiegati gli esercizi della filosofia antica e quelli delle pratiche filosofiche rinnovate. Faccio due esempi per capire di cosa stiamo parlando: l’esercizio della consapevolezza della morte come valorizzazione e attenzione al tempo presente (tanto più prezioso quanto non eterno) e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta.

GD – A questo riguardo, come possiamo integrare l’esperienza mistica nella nostra vita? E in che modo l’esperienza mistica può diventare anche politica?

RM – Sono migliaia di anni che si dicono e si propongono certe prospettive e la storia umana non dice bene del nostro ultramillenario comportamento: ma il presente vive del passato come dell’avvenire. Non è mai troppo tardi per continuare sulla strada della “realtà”: pensare, agire, sentire come una parte senziente-pensante del tutto che ci circonda e ci attraversa, riducendo il male che procuriamo, approfondendo e ampliando il bene che possiamo contribuire a creare e diffondere. Questa è la rivoluzione culturale possibile nei prossimi secoli che ha origini, almeno quelle attestabili, più che millenarie nelle grandi spiritualità della storia.


gianluca didino è nato nel 1985 in Piemonte. I suoi articoli sono stati pubblicati su IL, Studio, Nuovi Argomenti. Ha curato la rubrica VALIS sul Mucchio Selvaggio e attualmente collabora con minima&moralia e Doppiozero.
Franco La Cecla antropologo, scrittore, filmaker e viaggiatore, oggi insegna Antropologia culturale alla NABA e allo IULM di Milano, dopo aver insegnato a Berkeley, Barcellona, Parigi, Venezia e Bologna.

1 comment on “Reinterpretando l’estasi: La mistica selvaggia di Romano Màdera

  1. Buona sera, sono un devoto a Maria ed alla Legge di Manu anche detta del Dharma; per mie origini sono un cristiano cattolico e volevo solo dire, che nella mistica cristiana, si dice che spuntano le stigmati (mani, piedi o costato) come dono, simbolo di perfetta calibrazione e collaborazione e testimonianza. Mi ci ritrovo molto nel testo, grazie per i vostri, sempre a me graditi, approfondimenti

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