Riscrivere il mondo: le utopie linguistiche da Ildegarda di Bingen

L’incessante ricerca di un linguaggio capace di esprimere l’ineffabile, tra utopie e letteratura, vista attraverso l’opera di Ildegarda di Bingen e Suzette Elgin.


In copertina: Nello Taverna, Armonia – Tecnica mista su tela di juta – Asta Pananti in corso

di Martina Maccianti

«Una lingua ignota è una meteora rosa, perché ciò che non defluisce lascia segni. Una lingua ignota si mantiene in uno stato quasi stazionario finché qualcuno non la legge per la prima volta. A quel punto diventa toroidale, emette tracce.»

(PINKY AGARWALIA, Biografia di una Santa bambina in dieci parti di Bhanu Kapil, Lingua Ignota, Ildegarda di Bingen e Huw Lemmey,  2023, Timeo)

Nei primissimi anni delle nostre vite siamo naturalmente inclini ad immaginare mondi fantastici, personaggi e storie che trascendono i limiti della realtà quotidiana. Con il passare del tempo, le responsabilità e i ritmi frenetici della vita reale (adulta) tendono a sopraffare questa attitudine creativa, relegandola in secondo piano. Ma cosa succederebbe se fossimo in grado di mantenere viva quella scintilla e utilizzare la nostra immaginazione per immaginare mondi nuovi, diversi e migliori? Riscoprire e stimolare la nostra capacità di immaginazione potrebbe avere un impatto enorme non solo a livello personale, ma anche su scala globale: immaginare mondi migliori ci permette di sognare soluzioni innovative ai problemi che affrontiamo come società, e di creare nuove opportunità per il progresso e lo sviluppo collettivo.

Il linguaggio è uno strumento potente che può influenzare la percezione della realtà e modellare il modo in cui pensiamo e interagiamo con il mondo; ripensarlo e reinventarlo potrebbe aprire a nuove e plurali possibilità, abilitando la definizione di un mondo diverso.

Riscrivere il linguaggio può significare creare parole e concetti che includono e valorizzano le esperienze e i punti di vista delle donne e delle minoranze di genere. Ad esempio, la scrittrice Suzenne Elgin ha proposto la creazione di una nuova lingua, chiamata Láadan, che include concetti che sono stati tradizionalmente esclusi dal linguaggio patriarcale. Allo stesso modo, Ildegarda di Bingen, monaca e mistica del XII secolo, ha sviluppato una lingua, chiamata Lingua Ignota, che includeva parole e concetti capaci di esprimere la spiritualità femminile e la connessione con la natura. Riscrivere il linguaggio in modo esteso e plurale può aiutare a costruire una società naturalmente democratica, in cui le diverse esperienze e punti di vista sono valorizzati e rispettati, e non punto di determinazione e posizione dell’altra. Questa destrutturazione diventa così una forma reale di azione politica e culturale, che mira a creare un mondo diverso.

Ildegarda era una mistica dalle profonde visioni ed esperienze spirituali che cercava di comunicare attraverso la scrittura e la musica. Creando parole e linguaggio propri, era in grado di trasmettere la profondità e la complessità delle sue esperienze mistiche in un modo più evocativo ed espressivo del linguaggio tradizionale. Ildegarda vedeva il linguaggio come un modo per esprimere l’unità e l’armonia di fondo dell’universo e che la sua lingua inventata era un tentativo di trasmettere questa idea in modo più profondo e significativo. Creando un linguaggio proprio Ildegarda fu in grado di trasmettere le sue esperienze in modo innovativo.

«”Visione” è una parola insufficiente a descrivere questo contatto col divino; “vedere” è un infinitesimo. Solo adesso, molto tempo dopo il fatto, metto per iscritto quello che è successo per spiegare sia quello che ho visto sia quello che ho esperito. Le parole sono sempre e solo segnali emessi dall’esperienza dei viventi, dei mortali. Non scrivo per persuadervi; scrivo in cerca di una lingua ignota che mi faccia condividere ciò cui ho assistito con l’interezza del mio essere. Impresa vana. Ma insistiamo a compierla.» (Lingua Ignota, Ildegarda di Bingen e Huw Lemmey,  2023, Timeo)

Il linguaggio sperimentale esplorato da Ildegarda era il frutto della necessità di comunicare pensieri e intuizioni che andavano oltre i limiti delle lingue tradizionali, come il latino e il tedesco. La “Lingua ignota” diventa così uno strumento per dare voce a una dimensione spirituale più profonda e misteriosa, che sfugge alla percezione comune: un codice capace di rendere visibile l’invisibile. La sua ricerca evidenzia il desiderio di esprimere concetti ed esperienze spirituali che non potevano essere adeguatamente trasmessi attraverso il linguaggio convenzionale. Ildegarda creava parole basate su una re-interpretazione e trasformazione di termini latini, lingua ecclesiastica dell’epoca, e alcuni termini che lei stessa aveva creato. Aveva la capacità di piegare la lingua a sé e dare vita a un nuovo modo di espressione che finalmente riusciva a riflettere la sua profonda connessione con la natura e il divino. 

Uno degli esempi più significativi è il termine Viriditas, che Ildegarda riprende e fa suo, riempiendolo di nuovo significato. Se nel vocabolario latino troviamo un utilizzo come elemento cromatico e, in senso ampio, come senso di freschezza e floridità, nella lingua di Ildegarda prende un ruolo centrale assumendo il significato di energia vitale, una forza non soltanto percepibile nella natura rigogliosa, ma anche e soprattutto in ambito spirituale.

«Abbandonando la città, sentii nella natura un ritmo che sfugge al controllo umano. Io non ero che un nodo nella sua rete, nella sua infinita espansione. Questo sacro movimento della vita, che oltrepassa i limiti del linguaggio, presi a chiamarlo viriditas. Questo termine è solo un gesto che accenna a tutto ciò che è sacro, inafferrabile. Solo Dio, la divinità vera che abita ogni atomo vibrante dell’universo, può unire sostanza e segno.»

Nonostante questa lingua nuova sia rimasta limitata all’ambiente in cui è stata creata, rappresenta e porta in sé, idealmente, una potenza utopica. Ildegarda ha creato, nel suo contesto, una lingua che sfugge alle regole preesistenti, dando vita a uno spazio linguistico dove le norme note potevano essere sfidate e riformulate. La Lingua Ignota può essere quindi vista come la manifestazione concreta dell’utopia mistica di Ildegarda, divenendo un esempio di come una donna potesse avvalersi di un’autorità spirituale ed intellettuale attraverso la modifica della lingua che non le concedeva questa autorità. In questo universo linguistico le parole sono liberate dal loro contenuto tradizionale, spesso limitante, per essere reinventate, acquisendo così nuove sfaccettature e profondità.

Immaginare e disegnare mondi nuovi, diversi e migliori, prevede e necessita la sperimentazione di una lingua nuova fino ad ora ignota, al fine di offrire la rappresentazione di una realtà in cui la comunicazione non è limitata da barriere espressive di ogni sorta.

La potenza, ancora attuale, della Lingua Ignota di Ildegarda non sta nella possibilità o meno di utilizzare quel linguaggio nuovo, ma nella spinta creatrice derivante dal bisogno di descrivere percezioni diverse, altre, nuove. 

«Poiché nascere è morire, morire è rinascere, e nei miei ultimi momenti di veglia sentii il mio battito connettersi alle vibrazioni di tutte le forme di vita attorno a me per diventare onde uniformi in movimento, verso una pace estatica.

O nobilissima viriditas,

che ti radichi nel sole,

che in candida

serenità

riluci come in una ruota

che nessuna terrena eccellenza

comprende:

tu sei circondata

dall’amplesso

dei ministri del divino.

Arrossisci come l’aurora e ardi

come la fiamma del sole.»

Non solo risposta a un desiderio espressivo, la lingua ignota di Ildegarda rappresenta una critica al mondo e alle sue imperfezioni. In un mondo in cui il linguaggio è spesso utilizzato come strumento di potere e di controllo, la creazione di nuove utopie linguistiche come quella della mistica rappresenta una sfida alla norma, un segno di resistenza e di libertà. La Lingua Ignota è un esempio di come la creazione di nuove parole e di nuovi modi di esprimersi possa essere un atto di rivoluzione culturale e di emancipazione. Le parole hanno la capacità di plasmare il pensiero e di influenzare le azioni, e la creazione di nuove parole e lingue può può avere un impatto profondo sulla società e sulla cultura

«Cercate in questa visione un occhio critico? Non c’è. Questo è ciò che distingue la mia vita fuori dalla città dalla mia vita nell’amministrazione.»

Nel tempo, dopo Ildegarda, in molte e molti hanno immaginato mondi e linguaggi. È questo il caso del Láadan, la lingua ideata da Suzette Elgin, scrittrice visionaria che ha esplorato il potere del linguaggio attraverso la sua serie di romanzi, che inizia con “Native Tongue” (in italiano “Lingua nativa”, traduzione di Costanza Fusini e Valentina Dragoni, Del Vecchio Editore 2021) nel quale Elgin immagina di riparare una lingua che non dà abbastanza spazio e respiro al punto di vista femminile. Elgin nasce in Missouri nel 1936. Alla fine degli anni ‘60 si ritrova vedova, risposata e madre di cinque figli e, con l’obiettivo di conseguire il dottorato in Linguistica, inizia a scrivere romanzi di fantascienza per pagarsi la retta.

Nello Taverna, Armonia – Tecnica mista su tela di juta

Ambientato negli Stati Uniti del 2205, il romanzo “Native Tongue” (Lingua Nativa) descrive una società patriarcale in cui le donne sono sottomesse agli uomini e non possono possedere proprietà o lavorare senza il permesso di un parente maschio. In questo contesto, i linguisti assumono un ruolo cruciale come interpreti nelle trattative interplanetarie. Le famiglie di linguisti, chiamate “linee”, sono addestrate nella conoscenza delle lingue aliene e umane. Il romanzo segue un gruppo di donne appartenenti a queste linee linguistiche che sviluppano una lingua segreta: il Láadan. Questo linguaggio consente loro di esprimere pensieri ed emozioni che l’inglese, con le sue limitazioni maschili, non è in grado di comunicare.

La realizzazione del potenziale del Láadan è solo il primo passo verso l’obiettivo finale: l’attualizzazione. Questo processo va oltre la comprensione individuale, elevandosi al di sopra delle aspettative e delle ambizioni personali per diventare un’esperienza condivisa tra tutte le donne. Attraverso questa “rivoluzione silenziosa”, le linguiste lavorano per creare un nuovo ordine sociale basato sull’etica della classe operaia, coinvolgendo donne di ogni status nella lotta comune contro l’oppressione. Il cuore della trama di “Native Tongue” ruota attorno alle domande sollevate dal potere della nuova lingua e dalla sua potenziale capacità di scatenare una rivoluzione. La protagonista del romanzo, Nazareth, è una donna di mezza età che ha subito abusi verbali ed emotivi per tutta la vita. Quando scopre il Láadan, si rende conto che finalmente ha le parole giuste per descrivere il suo dolore e l’ingiustizia che ha subito.

Il lavoro di Suzette Elgin in “Native Tongue” mette in luce l’importanza del linguaggio come strumento di espressione personale e di emancipazione sociale. La creazione del Láadan vuole dimostrare come una lingua possa essere utilizzata per dare voce a quelle che, altrimenti, potrebbero rimanere inascoltate. In un mondo in cui l’oppressione e la discriminazione sono ancora presenti, il messaggio di Elgin risuona più chiaro che mai.

«Allora riflettete su questo, per favore: far “apparire” qualcosa si chiama magia, giusto? Bene… quando voi guardate un’altra persona, cosa vedete? Due braccia, due gambe, un viso, una serie di parti. Dico bene? Allora, c’è una superficie continua di corpo, uno spazio che inizia con la carne nell’interno delle dita e continua sul palmo della mano e su per la parte interna del braccio fino alla piega del gomito. Ognuno di noi ha quella superficie; a dire il vero, ognuno ne ha due. La chiamerò l’athad di una persona. Immaginate l’athad, per favore. Visualizzatela nella vostra mente, percepitela, ecco qui ci sono le mie due athad, la sinistra e la destra. E ci sono entrambe le vostre athad, delle athad davvero molto carine. Dove prima non c’era un’athad, adesso ce ne sarà sempre una, perché percepirete l’athad di ogni persona che guarderete, come ne percepite il naso e i capelli. D’ora in poi. E io ho fatto in modo che l’athad apparisse… adesso esiste. La magia, lo percepite, non è qualcosa di misterioso, non è qualcosa per streghe e stregoni… la magia è qualcosa di semplice e ordinario. E solo linguaggio. E ora vi guardo, e posso dire, cosa che non potevo fare tre minuti fa: “Che belle athad che hai, nonna!”»

(“Lingua nativa”, traduzione di Costanza Fusini e Valentina Dragoni, Del Vecchio Editore 2021)

La realtà, fortemente influenzata dalla nostra percezione e dalla nostra comprensione, è anche il risultato della nostra cultura e delle nostre aspettative, e il linguaggio è lo strumento principale per descriverla, definirla e plasmarla. Ingeborg Bachmann, nel suo approccio alla letteratura come utopia, suggerisce che la realtà acquisisce un nuovo linguaggio quando si verifica uno scatto morale o conoscitivo, e non quando si tenta semplicemente di rinnovare la lingua in sé. 

«La realtà acquista un linguaggio nuovo ogni qualvolta si verifica uno scatto morale, conoscitivo, e non quando si tenta di rinnovare la lingua in sé, come se essa fosse in grado di far emergere conoscenze e annunciare esperienze che il soggetto non ha mai posseduto. Se ci si limita a manipolare la lingua per darle una patina di modernità, ben presto essa si vendica e mette a nudo le intenzioni dei suoi manipolatori. Una nuova lingua deve avere un modo nuovo di incidere, il che può accadere soltanto se un nuovo spirito la abita.»

(Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte, Ingeborg Bachmann, Adelphi, 1993)

Questo pone l’accento sull’importanza delle esperienze e delle conoscenze acquisite che si riflettono nel linguaggio, piuttosto che sulla manipolazione delle parole per ottenere un’apparenza di modernità. Da questa prospettiva, si potrebbe sostenere che sia la cultura a cambiare il linguaggio, poiché è il contesto culturale e le esperienze che ne derivano a plasmare il nostro modo di pensare, agire e comunicare. Ma il linguaggio stesso può avere un effetto retroattivo sulla cultura, influenzando il modo in cui percepiamo e interpretiamo la realtà e le nostre interazioni con gli altri. Suzette Elgin in “Native Tongue” sostiene che cambiare il nostro linguaggio cambia il nostro mondo. Come un atto magico nominare qualcosa, palesarla nel linguaggio, nelle parole, la rende reale. Questo è possibile perché il linguaggio non è solo uno strumento passivo per descrivere la realtà, ma ha il potere di trasformarla e influenzare la nostra comprensione di essa. In tal senso, si potrebbe sostenere che il linguaggio e la cultura si influenzano a vicenda in un ciclo continuo di adattamento e trasformazione. Pensiamo che il linguaggio rappresenti qualcosa di direttamente legato alla natura delle cose, alla loro esistenza. Il linguaggio descrive la realtà. Ma questo è il punto: cosa è reale? La realtà, per noi, esiste solo in funzione della nostra percezione e della nostra comprensione.

Il linguaggio diventa uno spazio magico in cui ciò che viene pensato e rappresentato diventa reale. È pelle che muta.

Il legame tra linguaggio/simbolo e cultura è profondo e complesso, e non è facile stabilire quale sia la causa e quale l’effetto, ma credo si possa delineare uno spazio all’intersezione tra i due che trova realizzazione nella letteratura, nell’immaginazione di nuovi mondi.

«Tutte le opere veramente grandi di questi ultimi cinquant’anni, quelle che hanno reso visibile una nuova letteratura, non sono nate dalla volontà di sperimentare nuovi stili, né dal tentativo di esprimersi ora in un modo ora in un altro, né dal desiderio di essere moderni, esse sono nate sempre laddove, prima di ogni conoscenza, un pensiero nuovo, con la sua forza dirompente, ha dato il primo impulso, cioè dove, prima ancora di ogni formulabile etica, la spinta morale è stata abbastanza grande da concepire e progettare una nuova possibile etica.» (Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte, Ingeborg Bachmann, Adelphi, 1993)

L’immaginazione è un potente strumento creativo che può influenzare il mondo intorno a noi e portare al cambiamento. L’abilità di creare qualcosa di nuovo ci permette non solo di dare vita a mondi fantastici, ma anche di rimodulare la realtà stessa. Questo è importante perché non impone solo un cambiamento di forma, ma apre a un cambiamento radicale che nasce dall’interno e si diffonde a livelli più profondi, modificando il linguaggio e il pensiero. Un potere comunicativo che spezza le catene, crea intrecci. Una forma di resistenza alle limitazioni imposte dal linguaggio e dalla cultura dominante, favorendo nuovi modi di pensare e di relazionarsi con gli altri. Immaginare, quindi, diversi futuri possibili e renderli, così, vivi.

Dovremmo cogliere la provocazione di Ursula K. Le Guin; abbandonare la lingua conosciuta in nome di una lingua nuova, che “non è linguaggio inteso come mera comunicazione, ma come relazione, rapporto”, “crea un legame […], è uno scambio, una rete; il suo potere non è dividere ma legare, non distanziare ma unire.”.

Nel testo a cura di Bhanu Kapil, PINKY AGARWALIA. Biografia di una Santa bambina in dieci parti, che ritroviamo in apertura della nuova edizione di Lingua Ignota edita da Timeo, alcuni passaggi definiscono in maniera lucida e quasi maniacalmente luminosa il significato e la potenza di lingue nuove e mai conosciute. La lingua ignota, una volta che viene letta, “esperienzata”, e quindi abilitata, diventa trasformativa, acquisisce il potere di lasciare tracce, segni, come scrive Kapil rappresenta “una fonte molto ricca, un archivio di informazioni condivise, come una caverna di ametista nel punto in cui il fiume incontra il mare.”

«Eri così vicina a me, Ildegarda, all’origine dei fiumi e poi nella

caverna. Eri tu che eri passata lì da poco, attizzando il fuoco

con la punta del tuo stivale?

Ildegarda, la tua metamorfosi, come un animale o un pesce,

continua a scivolarmi dalle mani.

Seguo i tuoi comandi.»

La creazione di una lingua nuova rappresenta un passaggio che va al di là della manipolazione di parole, suoni, simboli,  ma è un atto di world-building che mette in luce la nostra aspirazione di oltrepassare i confini e sfidare l’ignoto.  Abilitando nuove modalità di espressione abbiamo l’opportunità di creare nuove chiavi di lettura, un nuovo pensare, un rinnovato essere: il linguaggio non esiste soltanto come strumento di rappresentazione del mondo, ma come attore principale nella sua riprogrammazione. 


Martina Maccianti (1992) è la fondatrice di Fucina, spazio aperto che tratta temi quali sessualità, diritti, parità, ecologia. Ha studiato Architettura e scrive nella speranza di contribuire a gettare le fondamenta per altri futuri, diversi e possibili.

2 comments on “Riscrivere il mondo: le utopie linguistiche da Ildegarda di Bingen

  1. Andrea

    Testo molto interessante in materia di sociolinguistica, ma con debolezze proprio di italiano (neostandard) tipo la dislocazione “della lingua che questa autorità non gliela concedeva” (meglio senz’altro “non le concedeva”). Anche “esperienziata” non si sa da dove giunga: forse “sperimentare”? “Fare esperienza di”? La lingua crea o noi creiamo la lingua (come ci pare e piace…)?

    • Grazie per la segnalazione. Abbiamo corretto la prima espressione, senz’altro poco fluida. Abbiamo invece lasciato l’inglesismo “esperienziata”, che pur non corretto in italiano ci sembrava giusto non modificare in un articolo che esalta la creatività nella lingua.
      La redazione.

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