Sir Arthur Conan Doyle: tra razionalità e spiritismo

Conan Doyle, oltre ad essere il creatore di Sherlock Holmes, era un convinto spiritista che dedicò gran parte della sua vita a esplorare l’esistenza dell’aldilà.


In copertina: Gianfranco Rontani, Paesaggio, Olio su tela – Asta Pananti in corso

Questo testo è estratto da “Storia dello spiritismo. Antologia illustrata” di Arthur Conan Doyle, ringraziamo l’autore e Venexia editore.

di Angelo Airò Farulla

Sir Arthur Conan Doyle non ha certo bisogno di presentazioni, e non è questa la sede per tracciarne l’ennesimo ritratto, o per analizzare la sua opera letteraria. È necessario, però, spendere qualche parola su quella parte della sua vita e della sua opera meno conosciuta, che riguarda il suo interesse per l’esperienza psichica e in particolare per lo Spiritismo, tentando di inquadrarla in una cornice il più possibile coerente con l’immagine che abbiamo oggi dello scrittore e con il tempo in cui visse.

A questo scopo, introducendo l’argomento del presente libro, basterà elencare i due “fatti” principali della sua vita pubblica, accostarli fra loro come il diavolo e l’acqua santa, e osservare la reazione.

Innanzitutto, Conan Doyle è accreditato come l’inventore, insieme a Edgar Allan Poe, del cosiddetto “giallo deduttivo”, forma letteraria riassumibile nell’espressione: “il mistero è conoscibile”; in secondo luogo egli è stato uno spiritista convinto, che ha dedicato molti anni della sua vita alla diffusione di un messaggio che suona più o meno così: la vita nell’aldilà esiste!

Lui stesso avvicina questi due aspetti in una dichiarazione filmata del 1927, un anno dopo la pubblicazione di History of the Spiritualism e pochi anni prima della sua morte. Raccontando in quell’occasione la nascita di Sherlock Holmes, egli ricorda come, da giovane medico appassionato di storie poliziesche, si annoiasse durante la loro lettura perché i detective arrivavano quasi sempre a risolvere i casi come per fortuna, senza che l’autore del testo spiegasse mai davvero il modo in cui erano giunti alla soluzione dell’enigma. Ebbe così l’idea di adottare il metodo scientifico, fatto di osservazioni e deduzioni logiche, all’indagine poliziesca. Nella stessa intervista, raccontava poi di come le sue prime esperienze psichiche risalissero proprio all’epoca dell’ideazione del suo personaggio più celebre, tra il 1886 e il 1887.

Per sua stessa dichiarazione abbiamo così espressa la convergenza, apparentemente scandalosa e illegittima, di positivismo e spiritismo; ovvero di una mentalità, la prima, che pur non essendo totalmente riducibile a una mera credenza nei soli fatti di questo mondo, resta pur sempre assimilabile a un approccio prevalentemente materialista nei confronti della realtà; e di una fede molto particolare, la seconda, che crede fermamente nell’aldilà e nella possibilità di attingere ai suoi misteri.

A dirla tutta, la contraddizione tra i due termini è solamente apparente, e può sembrare tale solo nel solco della cultura odierna, anche perché bisogna ricordare come orientamenti esclusivamente materialisti sono aspetti relativamente recenti nella storia della mentalità umana. Gli esempi di come nel passato sfere razionali e irrazionali, fisiche e spirituali, abbiano convissuto all’interno di una medesima area di ricerca, ovvero all’interno di una stessa cultura presa nel suo complesso, si sprecherebbero. Ricorderò, allora, come l’illuminismo fu infiltrato di occultismo ed esoterismo, come già il rinascimento lo era stato dell’ermetismo. Ricorderò, en passant, la pulsatio mortuorum di Paracelso, che identificava certi rumori strani e inspiegabili come un qualcosa di relativo alla presenza e all’attività dei defunti, esattamente come accadrà nello Spiritismo americano con i rap delle sorelle Fox. O il mesmerismo stesso, riconosciuto come uno dei prodromi della rivelazione spiritista, che prese avvio nella Vienna settecentesca, là dove un centinaio d’anni dopo, sulla sua stessa scia, sarebbe nata la psicoanalisi.

E arriviamo ora al cuore della questione. A ben guardare, al di là della suggestione che inevitabilmente esercita la definizione di “spiritismo” – o di “spiritualism”, come dicono gli anglosassoni – lo Spiritismo probabilmente non è, e non è mai stato altro, che un tipo di materialismo “allargato” e, in quanto tale, può essere classificato come una degenerazione del positivismo stesso, una sua bizzarra superfetazione, una mostruosità nata in seno alla grande madre scientista. Una bastarda alterità dalla matrice-matrigna.

In qualche modo, le sfere di esperienza metafisica o spirituale, che il positivismo cercò di allontanare, se non di negare totalmente, uscite dalla porta rientrarono dalla finestra, come si dice; quindi assunsero, quasi per istintiva imitazione, tutte, o quasi, le caratteristiche del soggetto che aveva tentato di estrometterle dalla vita dell’uomo, capovolgendosi, così, nel loro contrario.

Questo legame tra materialismo e spiritismo viene spiegato chiaramente da René Guénon nel suo Errore dello Spiritismo, pubblicato nel 1923. Per sintetizzare e distinguere lo Spiritismo da ogni altro approccio nei confronti dei fenomeni paranormali, da qualunque altro orientamento spirituale, da qualunque altra filosofia spiritualista, basta dire infatti che lo Spiritismo afferma la possibilità di comunicare con i defunti attraverso segni e mezzi di natura fisica, materiale: movimenti, rumori, voci, materializzazioni. Nato, fondamentalmente, come reazione al materialismo imperante dei tempi, è in questo stesso materialismo rimasto poi intrappolato, invischiato nelle sue concezioni e nel suo linguaggio, nelle sue pretese di riduzione del reale all’evidenza scientifica, alla disponibilità meramente corporea dell’esistente, come abbiamo detto. Si pensi allora ai perispiriti teorizzati da Allan Kardec, ovvero agli spiriti dei defunti immaginati come entità ancora pseudo-materiali, avvolte in una specie di omento fisico, sottilmente corporeo, che rende loro possibile l’interazione e la comunicazione con l’aldiquà. Si pensi, ancora, alle descrizioni date dai medium della vita nell’aldilà, un tipo di vita che continua esattamente la nostra, con tutte le sue particolarità materiali e quotidiane, rese soltanto più chiare e luminose, in qualche modo più “perfette” e pseudo-paradisiache (si vedano, in questo libro, i capitoli su Swedenborg e su Andrew Jackson Davis). L’eternità spiritista, in sostanza, è ancora temporale. Gli spiriti sono tutti erranti, ancora legati all’impronta corporea che hanno lasciato, ancora occupati da faccende e questioni sociali, organizzative, assistenziali. In questo, è senz’altro possibile scorgere anche una non accettazione della morte come fine dell’esistenza corporea, tendenza riscontrabile, per certi versi, pur se in opposta formulazione, nella cosiddetta “rimozione della morte” tipica della mentalità contemporanea, che è diretta erede della mentalità positivista. Ed esiste anche un parallelo tra l’evoluzionismo darwiniano e quella specie di evoluzionismo spirituale che è la dottrina della reincarnazione formulata sempre da Allan Kardec, secondo la quale le varie incarnazioni dello spirito permetterebbero un’ascesa sociale-spirituale delle anime, offrendo a tutti, a lungo andare, le stesse possibilità di realizzazione.

Eppure non è neanche sostenibile una positività totale o radicale, un materialismo assoluto, se pur non riconosciuto, dello Spiritismo. L’ambito è intricato e intrigante, sotto certi punti di vista. E Conan Doyle, incarnando alla perfezione i termini qui discussi più di tanti medium, rappresenta forse uno dei “casi” più eclatanti di questa equivoca ambiguità.

Egli non era un “semplice”, distaccato studioso di fenomeni paranormali, come furono tanti scienziati e metapsichici, ma era innanzitutto un credente nella nuova rivelazione; un credente-studioso che sosteneva, però, di non parlare di quello in cui credeva, ma di quello che sapeva, comportandosi, in questo, proprio come uno scienziato. Lo scarto, qui, rispetto a un approccio integralmente positivista, è da vedersi nei riguardi dell’oggetto particolare dell’indagine: al posto di affermare l’inconoscibilità di quanto va al di là della scienza, o della materia, gli spiritisti sostenevano infatti di conoscere. Più positivi dei positivisti! Una fede che si basava sulla conoscenza. Era questa la gnosi essoterica spiritista, in opposizione all’agnosticismo positivista.

In un certo senso Conan Doyle era cosciente di questa conflittuale appartenenza allo stesso campo mentale, e infatti sosteneva la necessità di “battere i materialisti sul loro stesso terreno”, e di fornire le prove della continuazione della vita oltre la morte attraverso l’utilizzo dei loro stessi strumenti, ovvero quelli dell’osservazione scientifica. Ed è proprio nell’empirismo, infatti, che cultura materialista e rivelazione spiritista si saldano insieme, per quel disperato bisogno che condividono della prova sperimentale, entrambi alla ricerca di “leggi di natura” oggettivamente dimostrabili. Anche la sopravvivenza oltre la morte deve essere provata in maniera sperimentale e fisica. Lo spirito ha un peso esprimibile in grammi, e si inventano strumenti per calcolarlo. La seduta spiritica non è che un laboratorio scientifico sui generis, dove vengono osservati eventi particolari, paranormali o soprannaturali. Il medium è colui che offre al pubblico una dimostrazione, consentendo all’assemblea degli “studiosi” di osservare i fenomeni. Siamo di fronte a una specie di teatro anatomico, dove si “viviseziona” il corpo vivente, lo si forza oltre i limiti, credendo o sperando di scorgere, in certe sue manifestazioni anormali, in certe reazioni indotte (simili agli scatti involontari delle rane di Galvani), i movimenti dello spirito di un altro defunto.

Nonostante una certa affinità di linguaggio e di presupposti, quello che tenne storicamente distanti spiritisti e mondo scientifico accademico furono proprio i fenomeni medianici, che si manifestavano solo in presenza di alcune persone particolarmente “dotate” (i medium) e che si caratterizzavano per un’irritante, eccessiva, fanciullesca banalità, tanto che si stenterebbe a definirli diversamente da paranormalità senza alcun significato.

Oltre a questo, poi, gli esperimenti scientifico-spiritici avevano un’ulteriore particolarità che la scienza ufficiale dell’epoca non era in grado né di comprendere né di accettare. Gli spiritisti sostenevano infatti che per assistere a dei fenomeni validi e compiuti, gli osservatori dovessero essere partecipi e favorevolmente disponibili nei confronti dell’evento, circondando il medium in una catena di affetto. Scettici, cinici, critici e burloni mettevano a rischio la buona riuscita dell’esperimento, o ne impedivano addirittura la manifestazione. Si spiegava in questo modo la difficile riproducibilità dei fenomeni medianici in “condizioni controllate”, come richiesto dal metodo scientifico, e questo, come si può facilmente immaginare, divenne uno dei cavalli di battaglia dei denigratori del Movimento Spiritista, che parlavano senza mezzi termini di inganno e frode.

Ancora non si conosceva quel principio della fisica che lega osservatore e osservato in un unico sistema, dando all’osservatore un’ampia parte di responsabilità nell’osservazione di un dato fenomeno.

Nel 1926, quando uscì la Storia dello Spiritismo, i due volumi del libro vennero favorevolmente recensiti su Nature da R. J. Tillard, geologo ed etnologo anglo-australiano interessato alla ricerca psichica (al quale Conan Doyle promise di apparire da morto). L’articolo scatenò una piccola controversia tra gli scienziati, che consideravano tutta quanta la faccenda nient’altro che una montatura, ritenendo il metodo adottato da Conan Doyle nella trattazione dell’argomento non scientifico. Ma era soltanto, questa, un’ultima fiammata dei più accesi contrasti che avevano coinvolto, nel passato, figure eminenti come il professor William Crookes, o lo stesso Conan Doyle, che fu più volte denigrato dalla comunità scientifica del suo tempo a causa del suo interesse per lo Spiritismo. C’è chi sostenne che, per via dell’età avanzata, non aveva più intatto il senso della ragione, o che era alla ricerca di facili consolazioni dopo la morte prematura del figlio Kingsley, del quale mostrava il ritratto post mortem in fotografie spiritiche, accanto a sé e alla moglie.

Sdegnoso delle critiche, convinto del bene che avrebbe arrecato all’umanità la diffusione del messaggio ultraterreno, Conan Doyle redasse una Storia dello Spiritismo d’impostazione parzialmente positiva, narrando razionalmente e cronologicamente l’evoluzione del Movimento sin da prima della rivelazione iniziale, ma inserendo, allo stesso tempo, nel tempo mortale dell’umanità, accadimenti e messaggeri immortali, in un’eco non poi tanto remota della storia della Salvezza cristiana. Così, come la nascita di Cristo fu preannunciata dai profeti biblici, la rivelazione di Hydesville venne anticipata da visioni e da eventi soprannaturali. Quella che state per leggere è infatti una storia fatta di promesse, di annunci, di avvicinamenti, e poi di conferme e di sviluppi; una storia ricca di protagonisti, dei quali si narrano aneddoti, episodi, trionfi, cadute e contrasti anche drammatici col mondo e con la società dell’epoca; vicende, queste, che talvolta sanno di martirio.

Nel riportare le notizie e le numerose testimonianze, Conan Doyle, che si definiva un semplice gramophone on the subject, traccia una galleria di quadri e di ritratti non tanto diversi dalle agiografie dei santi cattolici (e qui ritorna la coesistenza irrisolta e irrisolvibile, fortemente accentuata in questo contesto, tra il credente e lo scienziato). Scorrendo i capitoli del volume, si vede allora come la personalità di ogni medium si esprimesse attraverso fenomeni fisici particolari e specifici, se non unici, che li caratterizzavano esattamente come gli attributi simbolici dei santi. Ognuno ebbe le sue predilezioni: le sorelle Fox facevano rimbombare di colpi le pareti e il mobilio della povera dimora di Hydesville, diventata poi il prototipo di tutte le case infestate del cinema dell’orrore e della letteratura dei nostri tempi – col suo morto ammazzato sepolto in cantina, i fenomeni inspiegabili che si producono in una notte di vento, la bambina che comunica con lo spirito del defunto; Daniel Dunglas Home levitava nell’aria sino al soffitto e volava fuori dalle finestre steso in orizzontale; Stainton Moses scriveva interi libri in stato di trance guidato da più guide; Florence Cook materializzava il seducente fantasma della figlia di un antico corsaro…

La Storia dello Spiritismo venne pubblicata nel 1926, come abbiamo detto; nell’epoca che oggi chiamiamo “tra le due guerre”. Allora, nonostante tutte le speranze riposte dagli spiritisti nella Nuova Rivelazione riguardo il futuro dell’umanità, era probabilmente già finito tutto.

Lo Spiritismo andò avanti, certamente; e ancora oggi esistono gruppi e unioni spiritiste, anche in Italia. Si radicò in alcuni paesi, ad esempio in Brasile, nazione che diede i natali a Chico Xavier, e dove esiste una delle più vaste comunità spiritiste del mondo. Lily Dale, paesino di spiritisti nello stato di New York, dove venne trasportata la baracca di Hydesville, funziona ancora oggi come luogo d’incontri, conferenze, workshop, seminari e villeggiatura. Negli anni Settanta del secolo scorso ci fu poi un incremento degli studi in campo parapsicologico, ma la fede originaria era ormai acqua passata. Al posto degli spiriti, si parlava di una certa facoltà latente, umana tutta umana, che venne denominata psi, con riferimento all’iniziale greca della parola “psiche”; una facoltà che si sospettava essere la sola responsabile dei fenomeni. A quel tempo, negli USA furono aperte cattedre universitarie e corsi di laurea in parapsicologia sperimentale. La componente scientista era uscita allo scoperto e aveva preso decisamente il sopravvento.

In Italia, invece, continuarono a svilupparsi alcune esperienze ancora legate all’impostazione “classica” spiritista, tra le quali andrà menzionato il Cerchio 77 di Firenze, che ruotava intorno alla medianità di Roberto Setti.

Mentre in Unione Sovietica proseguirono fino alla fine degli anni Ottanta gli esperimenti sulla telepatia di Nina Kulagina, a un certo punto la vecchia medianità venne definitivamente soppiantata dal channeling, parola nuova indicante un nuovo modo d’intendere le comunicazioni che si erano espresse nei teatri spiritici. I tempi erano ormai cambiati.

Sostanzialmente, le promesse e gli annunci della Rivelazione data al mondo il 31 marzo 1848 attraverso le sorelle Fox sembrano oggi essere state disattese. Gli spiriti dei defunti non appaiono più molto interessati alle sorti dei loro compagni viventi. Dal punto di vista pratico, effettivo, c’è stata una battuta d’arresto. È possibile che la Seconda guerra mondiale, a differenza della Prima che aveva rinfocolato – con i suoi massacri – l’interesse per le comunicazioni con l’aldilà, abbia riportato tutto su un piano più terreno. Dopo quegli sconvolgimenti, dopo che forze occulte di natura infernale hanno scorrazzato liberamente in massa sulla superficie della Terra, sono senz’altro intervenute ragioni di tenuta della psiche collettiva, e si è naturalmente posto un freno ai contatti diretti, evitando di trasformare l’umanità in un immenso circolo medianico, e di esporla ai pericoli di un prolungato e diffuso contagio di natura psichica.

A parte questo, il declino del movimento religioso più essoterico e scientista che si conosca, sorto dal connubio più antiscientifico e antispirituale che la cultura moderna abbia mai prodotto, è forse dovuto anche al fatto che dalla metà del XX secolo, pur essendo la società diventata sempre più iper-tecnologizzata, la fede nelle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità non è più così condivisa dalla maggioranza della popolazione occidentale, come lo era nel XIX secolo. Tramontato o fortemente ridimensionato il credo materialista, è tramontato così anche quello spiritista, che ne fu, a tutti gli effetti, una specie di paradossale e bizzarro contraltare.


Angelo Airò Farulla è nato nel 1981 d.C. nell’Arcipelago Toscano. Di sangue etrusco e saraceno, è l’ultimo discepolo di Gino Gonni. Già non unico fondatore del Prolet Kul’t piombinese e de L’epimeteide, ha tradotto dall’inglese il volumetto “Ouija” di Stoker Hunt per le Edizioni Mediterranee

1 comment on “Sir Arthur Conan Doyle: tra razionalità e spiritismo

  1. Stefano

    Molto bello. Per di più mi ha fatto vedere Conan Doyle in una luce meno antipatica

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