“The Revenant” di Alejandro Inarritu.
Sceneggiatura di: Alejandro Inarritu e Mark L. Smith
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Montaggio: Stephen Mirrione
Con: Leonardo Di Caprio, Tom hardy, Will Poulter, Domhanall Gleeson
Prodotto da: New Regency Productions, RatPac Entertainment
L’uomo solo davanti alla natura selvaggia.
L’uomo solo davanti alla natura umana selvaggia.
L’uomo solo che lotta e lotta per la vita.
La sua e quella dei suoi cari.
L’attesissimo ultimo film di Alejandro Inarritu con protagonista Leonardo Di Caprio è ormai uscito e lotta insieme a me e a voi e a noi.
Tutti ne parlano già da tempo e ne parlerò anch’io che mi sono abilmente, credo, liberato del problema Checco Zalone facendo semplicemente finta che manco esistesse.
Pace all’anima sua.
Non ne ho parlato con nessuno.
Ho scritto soltanto un post sulla pagina facebook di un amico una notte stanco e ubriaco e comunque non ho parlato del film di Zalone ma della morte del cinema nostro.
Nessuno se ne è accorto, come sempre, un like, forse due.
Questa volta per fortuna.

Tutti ne parlano già da tempo e ne parlerò anch’io che mi sono abilmente, credo, liberato del problema Checco Zalone facendo semplicemente finta che manco esistesse.
“The Revenant”è un “filmone”, un colossal, un bestione.
Basti pensare che il film è costato circa centotrentacinque milioni di dollari.
Mica pochi.
È un film che vuole strappare degli Oscar.
Manciate di Oscar.
Dichiaratamente.
È un film americano: nelle ambientazioni, nella struttura, nella mitologia di fondo.
È un film che si lascia guardare.
È un film con gli indiani
e io quando vedo gli indiani mi inchiodo alla poltrona del cinema e godo parecchio.
La storia in due righe.
Leonardo Di Caprio è a capo di una squadra di cacciatori di pelli che nel mezzo delle foreste innevate del Nord Dakota vengono attaccati dagli indiani.
Molti cacciatori muoiono, molti indiani pure.
Di Caprio no, lui non muore mai, peccato, sarebbe stata una bella trovata:
prendi il divo e la fai morire subito, poi magari il film torna indietro…

Invece no.
Di Caprio salva quel che c’è da salvare di questa banda di cacciatori bifolchi,
prova a riportare quel che ne rimane al sicuro dell’accampamento ma un certo punto incontra un’orsa con i cuccioli che che gliele da di santa ragione;
lui la uccide ma rimane piuttosto malconcio.
La squadra non riesce a far ritorno all’accampamento trasportando l’acciaccato Di Caprio, il peso del suo corpo ne rallenta il passo e con quel clima rigido e per gli impervi sentieri di montagna non è possibile riportare a casa sano e salvo lui e pure chi lo trasporta.
Il capitano dunque decide di abbandonare Glass (Leonardo Di Caprio) nelle mani del figlio indiano Hawk, di un giovane cacciatore (Will Poulter) e del rude Fitzgerald (Tom Hardy) che promette di correre il rischio di essere nuovamente attaccato dagli indiani e di proteggere e occuparsi di Glass in cambio di trecento verdoni (siamo nel milleottocentosessanta).
Ma Fitzgerald in realtà non ne vuole sapere di rischiare le penne per occuparsi di Glass moribondo, lui vuole solo i suoi trecento verdoni, andare al più presto in Texas al caldo a coltivare il suo pezzo di terra e bere parecchio, infatti appena possibile tenta di uccidere il povero Glass mezzo morto ma il figlio di Leo lo scopre e prova a fermarlo scavando così la sua fossa:
al bruto Tom Hardy non resta che farlo fuori.
Muore Hawk, il figlio di Glass.

Da qui il film cambia e prende un’altra direzione:
Glass lotta contro la natura selvaggia, l’umanità malvagia e il fato avverso ma non per sopravvivere e rincorrere la pace e la gloria; a lui della vita, delle pelli, della pace e la gloria non gliene frega più niente vuole solo vendicare il suo amato figlio Hawk.
Smetto di spifferare e vi assicuro che questo è solo l’antefatto ma ho dovuto farlo per esporre la mia riflessione.
Pensavo che all’inizio il film avesse una trama ben precisa e cioè narrasse le vicende di questa squadra di cacciatori al servizio di una compagnia di pelli fin quando non mi sono accorto che subito dopo i primi venti minuti il film prende un’altra piega o meglio quella della lotta di Di Caprio contro la morte e alla ricerca della vendetta del figlio indiano ingiustamente ucciso.
Il film si trasforma in Rambo.
Di Caprio si trasforma in Rambo.
O meglio in una via di mezzo tra “Rambo”, “Balla coi lupi”, “Indiana Jones” e anche “Supeman”perchè no.
La storia perde immediatamente attrazione:
quella che poteva essere una storia unica e originale che racconta le vicende di una squadra di cacciatori di pelli diventa il film su un Rambo del milleottocentosessanta che lotta contro la natura, contro gli orsi, contro la morte e contro il suo nemico che a questo punto ha un nome e una faccia:
il cacciatore Fitzgerald (Tom Hardy).
Inutile dire che è sempre sul punto di morire ma che non muore mai.
Mai titolo infatti fu più azzeccato: “The Revenant”.
Di Caprio si trasforma in Rambo. O meglio in una via di mezzo tra “Rambo”, “Balla coi lupi”, “Indiana Jones” e anche “Supeman”perchè no. La storia perde immediatamente attrazione.
In questo modo il film si banalizza, non è più unico, dunque originale.
Inutile dire che Di Caprio tutto malconcio, con i capelli lunghi, la barba incolta e un orso al posto del cappotto farà impazzire migliaia di donne e bambine.
E questo a chi serve?
Alle migliaia di donne e bambine, al film e a Di Cario stesso sempre più ricco.
Inutile dire che il film banalizzato in una struttura essenzialmente appoggiata su protagonista e antagonista diventa un po’ pacchiano.
Per fortuna ci sono gli indiani, ci sono i cavalli maculati, ci sono i paesaggi sconfinati, la neve, i ruscelli, gli orsi, i boschi, gli archi e le frecce.

C’è un audio meraviglioso che mi riporta indietro trent’anni alla mia infanzia,
al mio nonno e ai suoi fucili,
a quando credevo che il mondo fosse diviso tra indiani e cowboy e io non sapevo da che parte stare e non a caso ero solito addobbarmi di penne, arco, frecce, speroni e pistole,
una via di mezzo,
proprio come Hawk, il figlio di Glass.
Il film è girato in modo magistrale, non c’è niente da dire:
la macchina da presa fluttua tra i corpi degli indiani, tra i volti tumefatti dei cacciatori, tra le ferite sul dorso di Leo e nelle acque gelide dei fiumi del Nord Dakota e lo fa in modo sensato e mai stucchevole.
È un modo di girare moderno quello di Inarritu:
si abbandonano gli obsoleti, noiosi e statici campi e controcampi e l’antico decoupage novecentesco per lasciare respirare la narrazione in un susseguirsi di piani sequenza nei quali è la macchina da presa stessa a dirci cosa guardare, cosa capire, cosa montare e a dare il turno verbale agli attori.
È la macchina da presa, la sequenza di immagini che racconta la storia del film e non le parole, il detto.
E questo è importante.
E questo è cinema.
La colonna sonora è efficace ed elegante ed è una vera colonna sonora di quelle che fanno da punteggiatura alle immagini.
La musica viene utilizzata in modo sobrio e cinematografico:
non ci sono i “Rolling Sones”,
non ci sono i “Pink Floyd” e manco i “Creedence”, “Jay-Z” e i “Talking Heads” a “coprire” le voragini narrative in modo furbo e pacchiano.
C’è la colonna sonora coma la si intendeva un tempo.
E anche in questo Inarritu ha dimostrato di essere uno di quelli bravi,
basti ricordare la meravigliosa colonna sonora di “Birdman”(2014).

Veniamo a Di Caprio.
Di Caprio è bravo.
È attorialmente prestante, epico e immortale anche se non so come sarebbe potuto uscire male da un film di questo tipo:
è un film incentrato sul protagonista,
sulle sue ferite,
sulle sue lotte disperate con la vita,
la morte,
la natura e gli affetti.
In un film di questo tipo un attore o non porta a casa la pelle,
abbandona il film e va in terapia,
o se ce la fa ne esce con l’Oscar in tasca o poco ci manca.
E Di Caprio questa volta ce la farà.
O forse no e il suo vero Oscar sarà quello di non essere mai riuscito a vincerlo.
Anche questa è epica, quella che io preferisco.
Ma alla fine ce la farà.
Stringerà in mano il suo Oscar e sarà felice e contento
e riderà di gusto e di gioia quando tra un mese una giornalista garbata e curiosa gli chiederà fuori dai denti: “Solo un’ultima indiscrezione…dove lo hai messo l’Oscar in casa?”
– “In bagno accanto al bidet!”
Sarà di nuovo il trionfo di un eroe Hollywoodiano.

È la massima espressione del cinema statunitense, dello show, della spettacolarizzazione ad ogni costo, dell’intrattenimento, dell’industria, del potere, della tecnica cinematografica finalizzata alla costruzione della finzione. E in questo funziona. E anche questo è cinema.
È il momento giusto per celebrare l’eroe americano (tra poco si vota).
È il film giusto per portare in trionfo Di Caprio e l’America (non è il mio parere ma quello dell’Academy).
È un film in linea con la figura e l’immaginario dell’eroe a stelle e strisce.
“The Revenant” è un film d’avventura, è un film sulla figura dell’eroe, un film mitologico dunque ma che a mio modo di vedere non aggiunge assolutamente niente a tutto quello che è già stato fatto, detto, scritto e girato sulla figura dell’eroe.
Ciò non toglie che sia un film che si lascia guardare e apprezzare il che non è poco quando si è davanti a una pellicola che dura abbondantemente più di due ore e mezzo (tipica lunghezza da Oscar)!
È un film che riporta indietro negli anni, che lavora sull’immaginario e sull’esperienza dello spettatore.
Non è un film d’autore.
Non è un film europeo.
Non è un film interiore.
Non è un film che parla di noi.
Non è un film che faccia pensare o lasci interdetti.
Non è un film colto, anzi…
È un film spettacolare.
È il cinema spettacolare.
È la massima espressione del cinema statunitense,
dello show,
della spettacolarizzazione ad ogni costo,
dell’intrattenimento,
dell’industria,
del potere,
della tecnica cinematografica finalizzata alla costruzione della finzione.
E in questo funziona.
E anche questo è cinema.
Veniamo alle pagelle:
Tre stellette
Tre pallette
È un sette meno meno per il vecchio Inarritu
Di Lorenzo Bechi
(www.filmsolo.org)
Lorenzo Bechi è nato nel 1982 ed è regista, produttore, fotografo, montatore e sceneggiatore, quasi tutto per filmsolo.org.
Ottima critica. Anche a me questo film ha deluso molto: troppo lento, noioso, scontato, insomma… già visto! Di Caprio meritava l’oscar per ben altri film che ha fatto, ma non questo. Credo che lui lo sappia, e si è visto, o sentito, dal suo discorso ironico alla notte degli oscar…
Federico grazie mille per le tue parole!
Un saluto,
Lorenzo
critica impeccabile. rispecchia perfettamente almeno il 90% di quelle che sono state anche le mie considerazioni un giorno dopo averlo visto. spero di poter leggere ed imparare ancora molto da Lorenzo Bechi. Chapeau!