Sessismo, razzismo, cattiverie gratuite contro le minoranze… Passaggi inaccettabili per la sensibilità di oggi – nei classici della letteratura russa.
di Daniele Zinni
La letteratura russa non è mica roba da frocetti. Ooooops! Ecco un’espressione che non è più il caso di usare. Era sbagliata anche prima, si capisce, da qualunque punto di vista la si analizzasse, ma oggi… be’, oggi è evidente. Di fronte a tanta sfacciataggine, l’imbarazzo ci fa persino scoppiare a ridere. Proprio per godere del nostro illuminato imbarazzo abbiamo raccolto qui di seguito dieci passaggi (e due bonus) tratti dalla letteratura russa dell’Ottocento che oggi farebbero rizzare i capelli a molti lettori.
1.
«Eccomi qua. Sono io, non un negro; mi laverò e assomiglierò a un essere umano.»
[L. Tolstoj, Anna Karenina, trad. P. Zveteremich]

2.
-->«Era un tenentino dei nostri, un bravissimo giovanotto. Sulle prime la voleva sposare, ma poi non la sposò più, perché venne fuori ch’era zoppa…»
«Dunque voi avete sposato una zoppa?» esclamò Kalgànov.
«Una zoppa, precisamente. Il fatto è che loro, sul momento, s’accordarono tutt’e due a farmi un imbroglietto, e mi nascosero la cosa. Io credevo che lei saltellasse… continuava sempre a saltellare, e quindi io pensavo che facesse così per la contentezza…»
[F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, trad. A. Villa]

3.
Ci sedemmo a tavola. Zurin beveva molto e ne offriva anche a me, spiegandomi che dovevo abituarmi alla vita militare; mi raccontò certe barzellette sull’esercito per le quali poco mancò che scoppiassi dal ridere. Alla fine del pranzo eravamo già grandi amici. Subito lui si offrì di insegnarmi a giocare a biliardo. «Per un militare», mi spiegò, «è indispensabile. Durante una campagna, per esempio, ci si ferma in un paesino, e che ti metti a fare? Mica si può stare tutto il tempo a bastonare gli ebrei.»
[A. Puskin, La figlia del capitano, trad. M. Caramitti]

4.
«Aliòscia, venite a trovarmi, venite a trovarmi più spesso», esclamò [Lisa] a un tratto con voce implorante.
«Sempre, per tutta la vita io vi verrò a trovare», con fermezza rispose Aliòscia.
«A voi solo, vedete, io lo dico», riprese Lisa. «Lo dico a me stessa, e poi a voi. A voi solo nel mondo intero! E a voi lo dico più volentieri che a me stessa. Né di voi sento alcuna vergogna. Aliòscia, come sarà che di voi non sento alcuna vergogna? Aliòscia, è vero che gli ebrei, per la Pasqua, rubano i bambini e li sgozzano?»
[F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, trad. A. Villa]

5.
Lo scrittore [Tolstoj] spiegò al suo biografo Birjukòv di aver alluso nell’opera [Il Diavolo] alla relazione amorosa avuta in gioventù con Aksin’ja, una contadina di Jàsnaja Poljana. Egli si ispirò anche alla propria infatuazione, alla fine degli anni settanta, per la cuoca Donma, e soprattutto alla vicenda di un conoscente, giudice istruttore a Tula, che aveva assassinato l’amante contadina […]. Tolstoj fece leggere l’opera al figlio Lev junior (che gli aveva confidato di essere turbato da pensieri di donne), ma poi tenne il manoscritto nascosto alla moglie, dentro una poltrona. Sonja lo trovò nel maggio del 1909 e ne seguì una violenta lite coniugale.
[Wikipedia: Il diavolo]

6.
«Per me, di bruttine non ce n’era: il fatto stesso che si trattava d’una donna, era metà dell’opera… ma voialtri, come potreste intenderlo! Perfino le vieilles filles perfino in quelle puoi scovare alle volte certe cose, che ti fan restare a bocca aperta, pensando a tutti gli scimuniti che le han lasciate invecchiare e non si sono mai accorti di loro! La scalza bruca, e la bruttarella, bisogna, per primissima cosa, farla rimanere a bocca aperta: ecco il metodo che bisogna adottare con lei. Ah tu non lo sapevi? Bisogna che rimanga a bocca aperta fino al parossismo, fino allo spasimo, fino alla vergogna, dallo stupore che una povera fòlaga come lei possa aver fatto innamorare un signore di questa taglia. È veramente provvidenziale che ci siano e sempre ci saranno, sguatteri e signori al mondo: sempre, così, ci sarà la ragazzetta di servizio, e sempre il suo padrone: e non ci vuol altro, sapete, per la felicità della vita».
[F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, trad. A. Villa]

7.
Essendo giovane e impetuoso, mi indignavo della bassezza e della pochezza d’animo del mastro di posta quando questi attaccava alla carrozza di un nobile il tiro di cavalli già preparato per me. Altrettanto a lungo non potei abituarmi al fatto che a un pranzo dal governatore un servo ben edotto mi passasse oltre per servire prima altri. Adesso l’uno e l’altro mi sembrano nell’ordine delle cose. In effetti, che ci succederebbe se invece di una norma agevole e comoda per tutti come «ognuno rispetti chi è di rango superiore» ne fosse introdotta un’altra, per esempio: «ognuno rispetti chi è di ingegno superiore?» Quali liti insorgerebbero! E i servitori da chi dovrebbero cominciare a servire i pasti?
[A. Puskin, Il mastro di posta, in Le novelle del compianto Ivan Petrovic Belkin, trad. M. Caramitti]

8.
«Oh, in quanto poi a quello che nel cervello suo arriverà a pensare, il contadino russo, sia detto come regola generale, va bastonato. È una cosa che io ho sostenuto sempre. Il nostro contadino è un farabutto, non merita che se ne abbia pietà; e fortuna che tratto tratto lo nerbano ben bene ancora adesso. […] Io me la prendo con le persone illuminate. Abbiamo smesso, pel nostro grande capire, di frustare i contadini, e quelli continuano a bastonarsi per conto loro. E fanno bene.»
[F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, trad. A. Villa]

9.
«Ma, signora, questi tremila rubli, che con tanta magnanimità avete promesso di prestarmi…»
«Non vi mancheranno, Dmìtrij Fiòdorovic, – immediatamente gli tagliò la parola la signora Chochlàkova. – Fate conto che questi tremila rubli vi stiano in tasca, e non tremila, ma tre milioni, Dmìtrij Fiòdorovic, e a brevissima scadenza! Ecco l’idea che fa per voi: cercherete le miniere, guadagnerete a milioni, farete ritorno e diverrete un uomo d’azione, e spingerete a muoverci anche noi, indirizzandoci al bene. O che davvero vogliamo lasciare ogni iniziativa agli ebrei?»
[F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, trad. A. Villa]

10.
Riferendosi a I Fratelli Karamazov, Lev Tolstoj affermò: «Non sono riuscito ad arrivare fino in fondo.»
[Wikipedia: I fratelli Karamazov e Tolstoj; citato in Enzo Biagi, Russia]

BONUS: #friendzoned
«Sapete perché sono tanto contenta?», disse, «tanto contenta di vedervi? Perché oggi vi amo tanto?»
«Ebbene?», chiesi io, e il mio cuore iniziò a tremare.
«Vi amo perché non vi siete innamorato di me. Perché un altro, al posto vostro, avrebbe iniziato a farmi inquietare, a darmi fastidio, avrebbe sospirato, si sarebbe ammalato, e voi invece siete così caro!»
Qui ella strinse tanto la mia mano che per poco non gridai. Si mise a ridere.
«Dio! Che amico siete!», iniziò dopo un minuto molto seria. «Ma vi ha mandato Dio da me! Insomma, cosa ne sarebbe di me, se voi ora non foste con me? Come siete disinteressato! Come sapete amarmi bene! Quando mi sposerò, saremo molto amici, più che fratelli. Vi amerò quasi quanto lui…».
[F. M. Dostoevskij, Le notti bianche, trad. L. De Nardis]
BONUS: #drunktexting
Durante il pranzo furono spediti alcuni telegrammi a persone che si erano interessate dello svolgimento delle elezioni. Anche Stepàn Arkàdic, che era molto allegro, spedì a Dàrija Aleksàndrovna un telegramma del seguente tenore: «Nevedòvskij eletto con venti voti. Congratulazioni. Riferisci». L’aveva dettato ad alta voce dopo aver osservato: «Bisogna farli contenti». Dàrija Aleksàndrovna, invece, ricevuto il telegramma, sospirò soltanto per il rublo che costava e capì che la cosa era avvenuta alla fine del pranzo. Lei sapeva che alla fine dei pranzi Stìva [diminutivo di Stepàn, NdR] aveva il debole di faire jouer le télégraphe.
[L. Tolstoj, Anna Karenina, trad. P. Zveteremich]
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