“Le orme della creatura si inoltrano nel folto del bosco, alle pendici della montagna. Cinque dita semicircolari, simili a zoccoli, che circondano un morbido polpastrello tondeggiante”.
In copertina un’opera di Maria Primachenko
di Claudio Kulesko
Le orme della creatura si inoltrano nel folto del bosco, alle pendici della montagna. Cinque dita semicircolari, simili a zoccoli, che circondano un morbido polpastrello tondeggiante.
Si acquatta sulla terra battuta e annusa attentamente.
L’aroma del sangue si mescola a quello del manto della bestia: un odore selvatico, di muschio e urina.
Si risolleva, procede tra i cespugli, destreggiandosi tra la fitta coltre di rami.
Tra gli ultimi residui di quel che era stato il bosco ‒ tra carpini e tigli, cerri e roverella ‒ lo accoglie un lucore alieno. Verde acqua e oro, ruggine e turchese, argento e bianco latte, si rifrangono in un caleidoscopio di tonalità. Dai tronchi innervati di escrescenze tumorali, i rami si ripiegano in spirali, o si innalzano al cielo zigzagando, ammantati di foglie dalle fogge così divergenti che non se ne potrebbero trovare due uguali. Una varietà convulsa, sulla soglia del collasso.
La luce del sole penetra fiocamente tra le fronde, conferendo alla distesa un aspetto ancor più irreale.
Con la mano guantata, scosta un groviglio di rovi. Al suo passaggio, un essere, simile a una tozza raganella, balza fulmineo su tre paia di zampe, tuffandosi in una pozza fangosa. Per una frazione di secondo, il guscio chitinoso balugina al tocco dei raggi solari, per poi sparire tra i liquami.
Socchiude leggermente la bocca e la lingua puntuta fa capolino tra le labbra sottili. Respira rapido. Sprofonda in un turbinio di odori e sapori.
Li scompone, li passa in rassegna.
-->Di là.
Avanza sul morbido tappeto di foglie, su per un colle ammantato di carpini. L’odore della bestia si fa largo tra la densa coltre di stimoli. Sempre più incalzante, sempre più vicino. Lo stesso odore che aleggiava sul cadavere.
Un’immagine si insinua nel flusso della caccia e gli si conficca nella mente come un chiodo: un corpicino maciullato, riverso sul crinale di una collina. Il vestitino celeste, madido di sangue, e i lunghi capelli biondi che si irradiano morbidamente sull’erba. Gli occhi sbarrati, vitrei. Sol! Quegli occhi spalancati, aggrappati a un ultimo, muto urlo di terrore.
Si arresta in prossimità della cima e aguzza le orecchie. Un grufolare soffocato. Mandibole che scattano. Ossa che vanno in frantumi, in mille pezzi. “Tack, tack, tack”.
Si accovaccia e scivola dietro un albero. Il tanfo metallico del sangue gli trafigge le narici.
Si sporge lievemente da dietro il tronco e la vede.
La bestia!
Avvista per primi il lungo muso inzaccherato di sangue e le enormi mascelle. Frugano nella carcassa di un cervo, facendosi strada attraverso il torace divelto. Strappano ossa, tendini carne, senza distinzione alcuna. Tutto finisce triturato sotto le zanne micidiali.
Percorre la creatura con lo sguardo. Il corpo irsuto, simile a quello di un grosso felino. Il collo possente, ursino, attaccato all’ampio torace, che si va a ricongiungere a fianchi snelli e sottili, dai quali spunta un accenno di coda. Zampe corte, robuste, tenute leggermente al di sopra del terreno dalle ormai familiari dita unghiute.
Un tempo, forse, era stato un lupo, o un leone di montagna.
Passa rapido da un albero all’altro. Estrae paziente la spada, senza emettere suono.
La bestia grugnisce, alza di colpo la testa e per alcuni, lunghi istanti, resta totalmente immobile.
La sente annusare l’aria circospetta.
Fa aderire il dorso al tronco e attende, in assoluto silenzio. La creatura abbassa la testa e riprende a masticare.
Socchiude gli occhi e inspira profondamente.
Espira.
Balza al centro della radura e assale la bestia alle spalle. Ma la creatura lo scorge, si volta, fulminea, ruotando il muso come un maglio.
Si tuffa in avanti e schiva il colpo. Atterra sotto il ventre della bestia, che prova a schiacciarlo con le zampe anteriori. Incalzato dal tuonare degli zoccoli, rotola sul fogliame e sferra un rovescio dritto al torace. La carne si squarcia.
La bestia ruggisce, furibonda. Gira e rigira su se stessa, schioccando freneticamente le mandibole, e le fauci lo sfiorano, ancora e ancora.
Ruota convulsamente a terra, mantenendosi fuori dalla portata delle zanne. Sferra altri due colpi: uno all’addome, l’altro allo stomaco. Mentre il sangue schizza sui vestiti e sulla faccia, ode la creatura guaire come un cane.
Con un balzo, la creatura si sottrae alla battaglia, guizzando agilmente sopra la sua testa. Nel tragitto, le punte degli zoccoli deformi lo travolgono, colpendolo alla tempia.
Rimane frastornato per un lungo istante. Serra il pugno sulla spada e respira profondamente, riacquisendo abbastanza lucidità da accorgersi che il mostro non è più su di lui. Strizza le palpebre un paio di volte e lo vede allontanarsi in fretta verso la boscaglia.
La bestia spicca un ultimo salto e scompare nella macchia, al di là del colle.
Dannazione!
Scatta in piedi e si scrolla di dosso lo strato di foglie, fango e sangue. Oltrepassa la coltre di rovi e ortiche che si affaccia sul fianco del colle e l’iride, baciata dal sole, si restringe alle dimensioni di una fessura.
Inaspettatamente, il paesaggio si apre su un’ampia radura, circondata da alberi. Attraversa la distesa con lo sguardo, da cima a fondo. Ma della bestia non v’è traccia.
Annusa attentamente il terreno, percorrendo con la punte delle dita il manto erboso. Dopo un po’, trova quel che sta cercando. Qual è là per il declivo, macchie di sangue tracciano un sinuoso sentiero per la tana del mostro.
Discende la collina e avanza lungo lo spiazzo, tenendo ben d’occhio i margini della foresta. Un silenzio innaturale. Nessun canto di uccelli, nessun ronzio d’api o frinir di cicale. Sepolti tra i fili d’erba, impastati qua e là al sangue della bestia, minuscoli esoscheletri di insetti e coleotteri, semidecomposti e devastati dalle irradiazioni.
Giunto a metà dello spiazzo, un fischio acuto risuona alle sue spalle, al di là della foresta. Un abbaiare di cani, l’eco di voci distanti.
I cacciatori.
Accelera il passo. Non può permettere che arrivino alla bestia prima di lui.
Torna con la mente alla donna, china sul cadavere della bambina. Le dita tra i capelli arruffati, gli occhi rossi. Pallida come un fantasma. La mano tremante che si stringe sul bavero della sua giubba. La voce implorante, assetata di vendetta.
Questa è la mia preda, la mia promessa.
Osserva la scia di sangue svanire nel bosco, all’altro capo della radura.
Trapassa il drappo verdeggiante e si ritrova al cospetto di un paesaggio primordiale. Una distesa di alberi accasciati, accatastati gli uni sugli altri, fittamente ricoperti di muschio ed edera.
Poggia la mano su un tronco e ne percorre la superficie con il palmo. Lo strato verdeggiante si muove appena, agitando migliaia di microscopici filamenti. La corteccia è intatta, il muschio reattivo. Ciò significa che l’albero è vivo, che si limita a giacere a terra, come immerso in un sonno profondo.
Si sfila i guanti e li aggancia al moschettone sulla cintura. Scrocchia le dita artigliate e balza a piè pari sul tronco. Il corpo si adatta rapidamente al cambiamento di andatura. In pochi istanti, eccolo balzare da un albero all’altro, slanciandosi e atterrando agile come un gatto.
È libero. Nessuno sguardo; nessuno che lo giudichi; nessuno che lo tema.
Una frotta di odori lo assale, inebriandolo. Si aggrappa con gli artigli a un vecchio tronco e si immerge in quell’oceano di stimoli. Il fresco odore del muschio, quello più pungente e profumato del legno, l’aroma cadaverico e invitante del fogliame umido. E, nel mezzo, inconfondibile, l’odore della bestia. L’odore del suo sangue.
No!
Non un solo odore. Più odori, simili ma non identici a quello della sua preda.
La foresta si infrange di colpo sul fianco della montagna.
Scruta attentamente la parete rocciosa. Occultato dalla chioma di un albero abbattuto, intravede l’ingresso di una caverna. Dalla coda del tronco, lunghi ed evidenti segni di trascinamento si dipanano sul terriccio umido.
Scivola verso l’antro, arricciando il naso, circospetto. Non vi è alcun dubbio, la bestia è qui dentro. E non è sola.
Astuto…
Va ai piedi del tronco e lo cinge con entrambe le braccia. Lo solleva senza sforzo e lo traina qualche metro più in là, finché l’ingresso della grotta non risulta sgombero.
Molla l’albero e si affaccia sulla bocca di tenebra. Attende appena e le pupille si dilatano. Il buio si squarcia, rivela i suoi segreti.
Una galleria larga e bassa, dominata da un acre odore di carogne. Avanza lungo il tunnel, spada in pugno, in guardia.
Un gran numero di oggetti giacciono sparsi a terra. Una spada arrugginita, una leggera veste estiva, un giaco impolverato, un palco di corna e un vecchio fucile. Dall’incavo di un’armatura dilaniata, fa capolino un triste scheletro dal cranio fracassato.
D’un tratto, il tunnel descrive una brusca curva a gomito. Sta per svoltare ma si arresta di colpo. Qualcosa non va. L’odore è troppo forte, l’umidità troppo intensa. Aguzza i sensi, in attesa.
Le fauci della bestia scattano come una tagliola da dietro l’angolo.
Balza indietro e affonda la spada sul muso della creatura. Poi, si acquatta al suolo, ben saldo su tre arti.
Le mandibole tentano di ghermirlo, di serrarsi sulla spada. Schiva ogni assalto e, per tre volte, le zanne si richiudono nell’aria.
Si slancia in avanti, ondeggiando come una scimmia. Stoccata, stoccata, affondo.
La creatura emette un rantolo cavernoso. Il naso spappolato, la bocca e i denti schiumanti di bava, il muso ridotto a una maschera di sangue.
Della fierezza e della ferocia del predatore non resta che una miserevole ombra.
La bestia ringhia sommessamente e arretra, barcollando. Confusa, dolorante. Si volta rapida e fugge verso il fondo della grotta.
Si lancia all’inseguimento, esitando a ogni curva. Ma la bestia non c’è. Ad attenderlo, dietro ogni angolo, nient’altro che il buio.
Passo dopo passo, l’aria si fa meno rarefatta, il soffitto si innalza. La galleria sfocia in un antro foderato di radici.
Attaccata alla parete, tra ossa e carcasse semi-divorate, c’è lei, la bestia. Il pelo ritto, le orecchie basse. Mostra tremante le fila di denti aguzzi, battendo ritmicamente lo zoccolo a terra, e scuotendo la testa a destra e sinistra.
Lo fissa con occhi che paiono urlare “non ti avvicinare, non ti avvicinare”.
Si concentra e imprime nel simbiota che gli scorre nelle vene un comando.
Lunghi filamenti si propagano dalla giubba all’avambraccio, risalgono l’elsa, e si depositano sulla lama. La scia argentea, simile a una corrente di metallo fuso, dà forma a una mezza luna, spessa e acuminata.
Solleva l’ascia dinanzi a sé e si prepara a dare alla bestia il colpo di grazia. Ma, sa dietro il mostro, si leva un coro di guaiti acuti.
Si blocca di colpo. Senza abbassare lo sguardo, mette a fuoco con la coda dell’occhio tre piccole figure, che si agitano nell’ombra.
Esseri non più grandi di un cane, bianchi come la neve. Musi corti e tozzi; piccoli occhi rilucenti. Lo scrutano terrorizzati, volgendo di tanto in tanto lo sguardo alla madre.
La bestia abbassa il muso e sfiora con il naso le teste dei cuccioli.
Uno sciame di pensieri lo assale, lo sovrasta, arrampicandosi tenace lungo ogni certezza.
Quattro bestie. No, cinque. Forse il padre…Una lupa! Potrebbe essere mutata mentre era ancora gravida. Ho giurato a quella donna che l’avrei uccisa. Moriranno senza la madre…maledizione, per Sol! Un colpo e sarà tutto finito…e i piccoli?
Si immagina scannare i cuccioli con l’ascia, uno ad uno. Rabbrividisce, la nausea gli serra lo stomaco in una morsa.
La creatura si stringe e si accoccola sui piccoli, facendo loro scudo con il proprio corpo.
Esita, abbassa l’ascia e tira un lungo sospiro. Arretra lentamente, senza perdere di vista la bestia. Alla prima curva si volta, si tuffa sulle quattro zampe e corre a capofitto, finché non vede la luce del sole far capolino dall’esterno.
Afferra la chioma dell’albero abbattuto e ricopre l’ingresso della grotta.
La lama dell’ascia si distende, si scioglie, fluisce quieta verso il polso e svanisce nella giubba. Avverte distrattamente il simbiota penetrare nei pori della pelle, giù nei vasi sanguigni, mentre rinfodera la spada.
Saltella agile al di là dei tronchi e oltrepassa la coltre di rovi. Non appena spunta nella radura, tre grossi mastini lo accolgono abbaiando.
«Blitz, Clehl, Fuer!»
A qualche metro, un energumeno richiama a sé i cani, agitando un ascia. Dietro di lui, altri due uomini si avvicinano, minacciosi.
«Guarda, guarda chi c’è!»
Esclama un uomo calvo, facendosi avanti. Si gratta il naso col dorso della mano, mettendo bene in mostra la lunga sciabola.
«Il mostriciattolo con le corna.»
Esclama beffardo.
I cani gli annusano gli stivali, ringhiando sommessamente.
Riconoscono l’odore.
«A quanto pare piaci ai cani, eh?»
Commenta il terzo, uno smilzo che impugna una balestra.
Si porta una mano al corno e lo accarezza lievemente. Prende tempo, corre rapido con lo sguardo dalle armi ai mastini. Sorride amabilmente e si rivolge all’uomo che aveva richiamato i cani.
«Gentilmente, potresti ricordare al tuo capo che sono un ufficiale imperiale?»
L’uomo si volta, lanciando al pelato un’occhiata interdetta.
«E noi siamo qui su mandato del conestabile!»
Sbotta quello. Fa un passo in avanti, una mano sull’elsa del pugnale che porta alla cintura, l’altra serrata sulla sciabola.
«È tutto sotto controllo. La bestia è morta.»
Chiosa rapido, rivolta al pelato.
«E noi vogliamo le prove.»
Lo incalza l’altro.
Solleva la spada, mettendo bene in mostra la lama sporca di sangue.
«Ti basta?»
«No che non mi basta, mostriciattolo. Quella cosa ha massacrato una bambina nel mio villaggio.»
Sottolinea le ultime parole indicandosi il petto, e fa un altro passo in avanti.
Intimoriti, i cani corrono a rifugiarsi tra le gambe dell energumeno con l’ascia.
Si fissano imperturbabili per alcuni secondi, a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro.
«Violazione del protocollo numero uno. Interruzione di operazione riservata.»
Dichiara tra i denti.
«Me ne sbatto, ragazzino…»
Replica il pelato. Lentamente, l’energumeno lo affianca.
«Nel bosco capitano un sacco di incidenti…»
Dice, sorridendo sinistramente.
«Già! E non vorrei essere nei vostri panni quando ve ne capiterà uno.»
Replica sardonico.
Il pelato fa per alzare la sciabola ma lui gli afferra il braccio e lo torce con forza. Il rumore dell’osso spezzato squarcia il silenzio della radura, subito seguito da un urlo e dai latrati dei cani.
Fulmineo, estrae il pugnale dalla cintura dell’avversario. Il pelato cade in ginocchio, gemendo e tenendosi il braccio.
L’energumeno vibra un colpo d’ascia. Troppo lento, troppo pesante.
Scivola all’indietro e schiva l’attacco. Con la coda dell’occhio, scorge lo smilzo prendere la mira con la balestra. Attende un istante, immobile. L’energumeno si sporge in avanti e mena un fendente. Lo schiva con una piroetta e il dardo si abbatte sulla spalla dell’assalitore.
Scaglia il coltello contro il balestriere e lo vede abbandonare l’arma sull’erba, il pugnale conficcato nella spalla.
I cani, eccitati dall’odore del sangue, gli si lanciano addosso come furie.
Emette un ringhio sibilante, i canini aguzzi ben in vista, e gli animali si ritraggono terrorizzati, con la coda tra le gambe.
«Branco di idioti! Volevate affrontare la bestia?»
Esclama. Si avvicina al pelato riverso a terra e gli sferra un calcio sul mento.
«Ringraziate che non vi ho ammazzato.»
Conclude, allontanandosi verso il fianco della collina.
«La pagherai, mostro!»
Urla il pelato.
Si gira a guardarli un’ultima volta e li saluta con un cenno della mano. Risale il declivo e si inoltra nel folto del bosco.
Il dubbio si insinua strisciando tra i suoi pensieri, lo incalza e lo tormenta.
Lo sguardo vacuo, colmo d’orrore della bambina, si intreccia agli occhi affranti delle due madri, una umana, l’altra mostruosa. E lui, nel mezzo.
Una vita per una vita. È una legge immutabile. Chi sono io per decidere chi sia degno di vivere e chi di morire? Proprio io, che per loro sono una bestia tanto quanto quella nella grotta. Che colpa ne abbiamo, se siamo nati così?
I latrati dei cani e le maledizioni dei cacciatori riecheggiano alle sue spalle, lontani. Gli ultimi, fiochi raggi solari filtrano vacui tra le chiome degli alberi, avvolgendo la foresta in un sinistro abbraccio rosso sangue.
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