Il vegetarianismo (e la sua frangia più estrema e coerente del veganesimo) è un argomento che genera immancabilmente accese discussioni, perlopiù basate su un presupposto errato: che qualcuno “abbia ragione”. Qualunque dibattito finalizzato a una scelta, infatti, rende impossibile la posizione dell’ignavo: o scegli A o scegli B. L’urgenza di una decisione, però, porta con sé l’acuirsi della retorica (i dibattiti politici ne sono un classico esempio), in quanto rende predominante l’aspetto sentimentale rispetto a quello razionale, in virtù del suo essere più immediato e dunque “migliore” qualora il tempo per decidersi sia breve. Lo sapevano gli antichi cacciatori davanti a un predatore e lo sanno i contemporanei avventori davanti a un cameriere impaziente; prima si decide meglio è. Ovviamente non è sempre così ed è possibile decidere il proprio regime alimentare con tutta calma.
L’urgenza di una decisione porta con sé l’acuirsi della retorica, in quanto nel compiere una scelta l’aspetto sentimentale è spesso predominante rispetto a quello razionale, in virtù del suo essere più immediato e dunque “migliore” qualora il tempo per decidersi sia breve.
Dato che una posizione neutrale è impossibile, perché tutti mangiamo, l’unico modo per affrontare l’argomento senza cadere nella trappola della partigianeria è dunque non dichiarare la propria squadra. Immaginate chi vi scrive carnivoro, vegetariano, vegano, “pescetariano”, asceta, cannibale o come più vi piace: l’analisi che segue parte dall’assunto che “hanno tutti ragione”.
Entrando nel tema, i macro argomenti addotti dagli schieramenti in campo si possono dividere con un po’ di flessibilità in tre categorie: Salute, Ecologia ed Etica. A ognuno di questi gruppi corrisponde una gigantesca (e spesso contraddittoria) bibliografia, cui, per motivi di tempo e di spazio, non posso rendere giustizia.
L’argomento salutista.

Mangiare la carne fa bene o fa male? Si vive meglio da vegetariani, da vegani o da carnivori? Gli studi in merito sono moltissimi, talvolta si contraddicono e spesso si alternano in base alle ricerche o alle mode. Nonostante questo prendere una posizione è fattibile in base a pochi dati, perché una buona alimentazione è un evento così complesso che non è in alcun modo riconducibile a questa scelta di campo. Quale che sia l’effetto di questi regimi, infatti, è ovvio che la sua ripercussione sulla salute non è auto-evidente; lo sarebbe se la carne fosse un veleno come il cianuro o se, viceversa, necessaria come l’acqua. Detto questo, è piuttosto evidente che quale che sia l’influenza del regime alimentare in analisi, si diluisce in una moltitudine di fattori, quali la qualità del (qualunque) cibo si acquisti, la quantità, le differenze individuali, gli equilibri della dieta, lo stile di vita eccetera. In breve, vegetariani, vegani o carnivori possono mangiar male o mangiar bene; se i motivi della vostra scelta sono legati alla salute, è probabile che siano sbagliati.
Vegetariani, vegani o carnivori possono mangiar male o mangiar bene; se i motivi della vostra scelta sono legati alla salute dunque, è probabile che siano sbagliati.
L’argomento ecologico/economico.
Da questo punto di vista la scelta vegetariana (e ancor di più quella vegana) sembra avere la meglio, perché i dati sono chiari: per produrre la carne si utilizzano più risorse che per produrre la verdura. Consumare più risorse significa inquinare di più ottenendo meno cibo*; una società di non carnivori di conseguenza sfama più persone con un minor costo sociale. La migliore scelta dal punto di vista ambientale è questa e i carnivori non hanno alcun argomento per contrastarla se non con:
a) Una schietta professione di egoismo («chi se ne frega», una risposta che vale per tutto e dunque non vale).
b) La considerazione che un consumo molto moderato di carne non ha un impatto disastroso sull’ambiente e che di conseguenza è accettabile un regime alimentare che non elimina del tutto la carne, soprattutto se si riesce ad avere un certo controllo sulla sua provenienza e il tipo di allevamento.
* Sebbene vi siano anche studi che sostengono il contrario.
L’argomento etico.
Il più spinoso ma forse il più interessante: non si deve mangiare gli animali perché soffrono, o meglio, perché ci somigliano. È difficile trattare questo tema scevri da notazioni sentimentali, ma non è impossibile, se si considera l’alimentazione come una sorta di “cerchio dell’empatia” legato alla propria sopravvivenza.
Il livello più proibitivo di alimentazione è l’autofagia, ovvero mangiare (a livello macroscopico) delle parti di se stessi. Volete fare uno spuntino? Divoratevi il mignolo.

Funziona più o meno così. Il livello più proibitivo di alimentazione è l’autofagia (1), ovvero mangiare (a livello macroscopico) delle parti di se stessi. Volete fare uno spuntino? Divoratevi il mignolo. Inutile dire che non è una prassi in voga e che i pochi casi sono stati registrati in condizioni di totale assenza di cibo o di vera e propria follia. Abbiamo poi il cannibalismo (2), un tabù poco praticato tra gli umani e un po’ più comune tra altre specie, soprattutto in caso di sovrappopolamento e scarsità alimentare. Non solo mantidi, scorpioni, ragni e api, ma persino i “teneri” criceti divorano i propri piccoli se nati malformati. Da qui in poi i cerchi si estendono, con po’ di generalizzazione, a tutto quel che mangia un carnivoro: insetti (3), crostacei (4), pesci (5), pollame (6), mammiferi (7). L’ordine non è casuale e non è neanche legato all’intelligenza della specie in analisi (una piovra è più intelligente di un gatto) ma è in ordine di empatia e somiglianza, di “carineria” insomma. A parità di sofferenza, proviamo tendenzialmente più compassione per un agnellino che per un pollo e per un pollo che per un’aragosta. Analizzare il cerchio dell’empatia porta un’infinità di domande: perché ci fa meno pena un polpo di un gatto, considerato che forse il primo è più intelligente? E le zanzare, le formiche? È pur vero che hanno un apparato nervoso meno sviluppato, ma forse non soffrono? Il ragionamento può essere portato così oltre da estendersi persino alle piante: è molto probabile che non soffrano, ma sono anch’esse vive e persino intelligenti. Paradossalmente l’autofagia sembra l’alimentazione più etica – o forse no: che diritto ho di far soffrire delle mie cellule? Il mondo, insomma, è estremamente crudele.
Perché ci fa meno pena un polpo di un gatto, considerato che forse il primo è più intelligente? E le zanzare, le formiche? È pur vero che hanno un apparato nervoso meno sviluppato, ma forse non soffrono?
Quale che sia il criterio con cui ci situiamo nel cerchio dell’empatia, il risultato è arbitrario; l’argomento etico dunque non è privo di valore, ma irrimediabilmente soggettivo. Nessuno può imporre l’empatia ad altri e i criteri più logici, come “non mangiare gli esseri viventi più passibili di sofferenza”, non sono molto in voga. Questo non significa che si possa negare il dolore agli altri esseri viventi; sebbene figlia di un rimaneggiamento di un testo più complesso, la massima attribuita ad Adorno conserva sempre il suo fascino: «Auschwitz inizia ogni volta che qualcuno guarda a un mattatoio e pensa: sono soltanto animali.»
E allora, cosa si deve mangiare? La risposta breve è “quel che vi pare”, perché le scelte etiche sono arbitrarie e non si possono imporre.
Che fare?
E allora, cosa si deve mangiare? La risposta breve è “quel che vi pare”, perché le scelte etiche sono arbitrarie e non si possono imporre. “Siamo quel che mangiamo”, scrisse Feuerbach, dunque vale anche l’esercizio opposto: scrutate nei vostri piatti e troverete un punto in equilibrio tra il vostro gusto culinario, la fame, la conservazione della specie e il dolore causato ad altri esseri viventi. Se non vi piace o non vi rispecchia, cambiate le abitudini alimentari, radicalmente o leggermente, fino a trovare l’equilibrio più adatto. E ricordate sempre che non avete ragione, e qualunque cosa mangiate non vi renderà migliori degli altri.
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