Il web è la nuova nebbia cyberpunk?

Una riflessione sul ruolo del web nella contemporaneità, da utopia a nebbia cyberpunk.

Qualche tempo fa, su Valigia Blu, Fabio Chiusi scriveva del mondo virtuale che piuttosto che essersi sostituito al reale si promette di implementarlo, in quella che è stata battezzata “realtà aumentata” (Augmented reality). Ma se è vero che Facebook sta investendo risorse enormi in tecnologie come Oculus Rift – lo schermo da indossare sul viso – l’aspetto che davvero aumenta la realtà che viviamo ogni giorno sembra essere piuttosto quello dell’iperconnessione.


La logica del “tutto connesso” non è un’ovvietà né un futuro già scritto, come verrebbe da pensare, ma una vera e propria logica politica, un modo di vedere il mondo e il futuro.


La logica del “tutto connesso” non è un’ovvietà né un futuro già scritto, come verrebbe da pensare, ma una vera e propria logica politica, un modo di vedere il mondo e il futuro. Quando, lo scorso 9 febbraio, l’azienda di Mark Zuckerberg si è scontrata con l’autorità indiana per le telecomunicazioni, si è palesata la logica ultra-globalista del web e del suo funzionamento contemporaneo. Il programma Free Basics promosso da Facebook, infatti, definito illegittimo dalle autorità indiane, proponeva di differenziare i costi di accesso rendendo di fatto internet accessibile in modo non paritario. Come si legge nella decisione delle autorità indiane il rischio stava nel “consentire ai provider di definire la natura dell’accesso alla rete” cosa che viene poi equiparata a lasciare che siano i provider – come Facebook – a “dare forma all’esperienza di Internet degli utenti”.

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Internet oggi è, in una prospettiva di impatto globalizzante, una specie di mercato al quadrato, perché lo ha implementato e in larga misura lo include.


Se il mercato libero un tempo appariva come il nemico dell’integrità statale col suo oltrepassare i confini, delocalizzare aziende e spostare capitali con una semplice telefonata, ora il vero “essere transnazionale” è la rete ed è, se possibile, molto più potente, perché capillare e trasversale. Internet oggi è, in una prospettiva di impatto globalizzante, una specie di mercato al quadrato, perché lo ha implementato e in larga misura lo include. Il web è capace di mettere in crisi non soltanto l’autorità statale – basti pensare ai vari leaks – ma anche di modificare i confini del mercato stesso. È, ad esempio, il caso di SilkRoad, la nuova “via della seta”, un mercato online gestito su logiche libertarie, fino a poco tempo fa accessibile anonimamente grazie alla protezione di un software chiamato Tor, una multipiattaforma per la comunicazione anonima. È il web il “nuovo mostro”, la vera minaccia all’integrità morale ed etica – sebbene farne a meno sarebbe un passo verso il fallimento, un po’ come successe col mercato, pur con i dovuti distinguo.

Sembra che sia proprio il web oggi a impersonare l’entità oscura e apocalittica nata dall’impatto tecnologico sulla società. La rete, con la la sua estrema pervasività nel tessuto sociale e comunicativo, ci riporta così ai mondi dell’immaginario cyberpunk. Il web è, in quest’immaginario pop, simile alla nebbia tra i grattacieli di vetri scuri che imperversa e avvolge tutto: sia l’architettura delle città che gli individui che le abitano. Un’entità impalpabile, impercettibile, se non nei suoi effetti indiretti. Ma soprattutto: onnipresente. Sistemica.


Il web è, in quest’immaginario pop, simile alla nebbia tra i grattacieli di vetri scuri che imperversa e avvolge tutto: sia l’architettura delle città che gli individui che le abitano.


I mondi cyberpunk sono scuri, nebbiosi, avvolti da un inquinamento imperante che rimanda al cinico e meccanicistico stile di vita della società tecnologica. Sono mondi “futuri” in cui l’uomo ha perso l’empatia verso il prossimo e ha stravolto irrimediabilmente l’ambiente naturale, rendendolo una bruttura postindustriale: una concezione pessimista di un’era segnata dall’impatto della specie umana sul pianeta, tanto forte da essere definita persino con un suo termine geologico, l’antropocene. La nebbia e l’oscurità sono elementi che avvolgono gli individui e gli oggetti del mondo, riducendoli a parti del sistema, coinvolti, volenti o nolenti, nella struttura impalpabile e sovrana. È il mondo delle tenebre che ha vinto su quello della luce – dicotomia che parte dalla mitologia e dalla narrativa religiosa per diventare l’incarnazione della contemporaneità. Una narrazione in cui da una parte abbiamo un servilismo alienato al sistema, dall’altra un possibile squarcio di luce ottenuto mediante il rifiuto di quel tipo di società.

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È da questa visione dicotomica (e semplicistica) che gli hacker, attraverso codice e attivismo, si possono porre, in un’ottica narrativa, come “gli eroi”. Il bene contro il male.


È da questa visione dicotomica (e semplicistica) che gli hacker, attraverso codice e attivismo, si possono porre, in un’ottica narrativa, come “gli eroi”. Il bene contro il male. Affrontano il male partendo da una posizione di inferiorità di mezzi e, in nome dell’etica politica e non del profitto, combattono il potere, come nelle fiabe. Sono “eroi” che in nome di ideali come giustizia sociale e diritto alla privacy combattono ciò che il web è diventato, quello che da Henry Jenkins a Hossein Derakhshan viene descritto come una deriva centralista e feudale di un figlio snaturato. Ma com’è che la struttura del web si è aggiudicata il ruolo dell’antieroe nella narrazione politica contemporanea?

Se da una parte nell’immaginario cyberpunk questa era la visione della società futura, vessata da capitalismo e inquinamento, d’altra parte la visione di cosa sarebbe diventata la rete era diametralmente opposta: ottimista, e, a detta di uno studioso come Matthew Lasar, addirittura funzionale all’utopia politica, al sogno della perfezione e della pace.


È interessante che sia successo esattamente il contrario. Il web è diventato la nebbia cinica e meccanicista che di fatto favorisce gli oligopoli e gli accentramenti di potere ed è successo contro ogni aspettativa.


Blade-Runner-2-DirectorÈ interessante che sia successo esattamente il contrario. Il web è diventato la nebbia cinica e meccanicista che di fatto favorisce gli oligopoli e gli accentramenti di potere ed è successo contro ogni aspettativa. Il contrario esatto del meccanismo della fiaba, dove l’eroe, superate prove e battaglie, “vince”, assicurandoci così il lieto fine. Il web doveva assicurarci il lieto fine, ma ha deluso le aspettative. La rete sarebbe dovuta diventare uno strumento di salvezza del genere umano, grazie a un’iperconnessione che avrebbe dato luogo a un’ipercoesione sociale, all’inviolabilità del diritto all’anonimato che a sua volta avrebbe garantito la privacy e la fine dei nazionalismi, derivante proprio dall’unione della diversità culturale nella rete. Questa unione, così potente e transnazionale, avrebbe poi portato, racconta ancora Matthew Lasar, nientemeno che alla scomparsa delle guerre. Perché una volta uniti in un unico sistema comunicativo i popoli si sarebbero conosciuti, coesi e l’odio si sarebbe definitivamente fatto da parte. Ora, se è vero che il dibattito sull’ipotetica sistematica decrescita dei conflitti a livello globale è ancora aperto, è comunque piuttosto evidente come queste aspettative siano state tradite. Basterebbe vedere come in Europa, il continente più interconnesso del pianeta, i nazionalismi siano tutt’altro che sepolti.

Insomma, in questo strano incrocio di errori di valutazione non c’è ancora né lieto fine né morale. Da una parte c’è il web, che assieme al suo lato salvifico ha mostrato anche uno “mostruoso”, e dall’altra il “crudele mercato” che muove dei timidi passi da sistema alienante e para-religioso a scambio consapevole, critico, che va dal chilometro zero fino alla decrescita felice o alle liberalizzazioni degli stupefacenti. Non stupisce che le dicotomie fiabesche si stemperino nell’ambiguità insita in tutte le cose, ma se proprio abbiamo bisogno di una morale è possibile trarne almeno una: non è per niente facile fare previsioni su chi, dove e come siano i “cattivi”.

di Enrico Pitzianti


Enrico Pitzianti, Cagliari 1988, si occupa di estetica e arte. È parte della redazione di Artnoise e di Dude Magazine. È laureato in semiotica, ha fondato il progetto artistico online GuardieShow ed è consulente per SpaceDoctorsLtd.
Immagini (c) Dges, Imgur, Blade Runner, cover is Beijing, from “Blade Runner or real life?”.

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